L’amore ai tempi di Tinder

(di Vincenzo Marinelli) Nella nostra epoca il passaggio dai telefoni cellulari agli smartphone ha davvero rivoluzionato la quotidianità in tutti i suoi aspetti. Una delle ragioni è la possibilità di installare su quest’ultimi delle “app” che possono agevolarci nella frenetica quotidianità. Ne abbiamo di tutti i tipi, talvolta le installiamo solo per vana curiosità, tante altre volte siamo costretti ad eliminarle per “spazio su disco insufficiente”. Con esse ci teniamo informati, seguiamo i nostri hobby, condividiamo tutto con i nostri amici, intratteniamo nel nostro tempo libero, effettuiamo pagamenti ecc.. Ma ci sono app il cui possibile uso interroga profondamente  la nostra umanità, la qualità e il valore che diamo alle nostre relazioni e aprono a grandi dibattiti. Una di queste app è Tinder che dal suo esordio, di appena quattro anni, conta 50 milioni di persone in 195 Paesi del mondo e un fatturato aziendale di 1,2 miliardi. Cos’è Tinder? È un’app per appuntamenti. L’utente registrato può scorrere una serie di foto di profilo degli utenti già registrati e con il right swipe, lo scorrimento a destra, conferma il suo interesse per l’immagine della persona visualizzata, mentre lo scorrimento a sinistra rappresenta un rifiuto. Qualora l’altro utente manifesti lo stesso interesse per il proprio contatto, l’app provvede a mettere in contatto i due utenti in modo che possano definire privatamente i tempi, i luoghi e i modi dell’incontro.

È facile a questo punto intuire le vastissime aperture a cui si apre il dibattito sul suo uso. Se da un lato crescono numerosi i siti pronti a divulgare le storie a lieto fine nate attraverso Tinder, dall’altro vi sono quelli che mettono in guardia dai possibili rischi che si annidano dietro la foto di un contatto sconosciuto. E il passaggio dalle fake news ad una fake (gender) identity è un passo breve di questi tempi. Non solo è possibile dissimulare la propria identità, ma anche la propria identità sessuale.

Prima ancora di valutare gli effetti immediati e derivati,  negativi e positivi, a lungo e breve termine, quello che in primo luogo è in gioco, è il valore antropologico della possibilità di scelta e il suo esercizio.

Il giornale spagnolo lavanguardia ha pubblicato un recente articolo dal titolo “La ‘tinderización’ del amor” e riporta le tesi di Isabel Moreno, psicologa e specialista della terapia di coppie e Francesc Núñez, direttore del master di Scienze umane della Universitat Oberta de Catalunya (UOC) e sociologo delle emozioni. Núñez afferma che “la tecnologia ha cambiato molto il protocollo dell’innamoramento e lo ha accorciato, facilitando la possibilità di incontrarsi”. Tuttavia la possibilità quasi infinita di scegliere pone l’utente nell’incapacità di prendere una decisione, infatti, sostiene la psicologa Helen Fischer, il nostro cervello subisce un sovraccarico cognitivo quando supera una scelta maggiore di cinque alternative. Secondo il sociologo, applicazioni come Tinder incoraggiano un tipo di accoppiamento basato sull’autosoddisfazione, la libera scelta, l’autorealizzazione, tuttavia hanno reso le relazioni alla stregua di un prodotto di consumo, rendendo le relazioni affettive e i legami più deboli.

La presenza di questa eccedente possibilità di scelta genera anzitutto infelicità, perché si ritiene che si sarebbe potuto scegliere ancora e si mette sempre in dubbio la bontà della scelta fatta. In secondo luogo, la molteplicità della possibilità di scegliere indebolisce la necessità di creare vincoli forti. In momenti di crisi e di difficoltà relazionali piuttosto che perseverare nel superamento del conflitto e nello sviluppo delle proprie risorse umane come la resilienza, la speranza, la fortezza ecc. si rende più allettante intraprendere un nuovo inizio. Complice è il cosiddetto “effetto fantasma”: ovvero la possibilità di smaterializzarsi, di interrompere una relazione. Le app permettono, bloccando l’utente, o eliminando il proprio profilo, di evitare il confronto con la dimensione del diniego e del dolore causato dalla fine di una relazione. Dinanzi ad un’app l’autoregolazione non è la stessa che nell’incontro diretto poiché cala la  percezione di empatia. “Le emozioni sono relazionate con la corporeità e la virtualizzazione permette che le emozioni come l’empatia siano minori”, afferma il sociologo.

Il dibattito e i temi da affrontare resta molto ampio per essere illustrato o sintetizzato nello spazio di un articolo, ma concludiamo con un interrogativo che ogni utente può sempre porsi: “a quale bisogno umano cerco di rispondere con l’uso di questa app?” e “In quale atteggiamento umano quest’app mi agevola e quale invece lascia latente in me? Un bimbo a cui i libri vengono sempre letti da altri, non imparerà mai a leggere e non sentirà mai il bisogno di imparare la grammatica.