Bufale: quale conversazione può generare l’umanità mediale?

(Di Vincenzo Marinelli) Nel precedente articolo (Bufale: l’informazione al tempo della post-verità) è stato descritto il fenomeno delle bufale cogliendone in modo particolare la connessione con il concetto di post-verità, con il  “confirmation bias” (pregiudizio di conferma) e il clickbait (esche digitali o esca da click). Le notizie che fanno appello alle nostre convinzioni personali siamo indotti a considerarle vere prima ancora di verificarne l’attendibilità (post-verità) e a ricercare in esse un’autoconferma a quello che già crediamo (confirmation bias). Consapevoli di questa dinamica alcuni siti sono indotti a postare notizie false in modo da adescare gli utenti e trarne ricavi dal maggior numero di click che riescono ad attrarre (clickbait).

Google e Facebook hanno presentato delle strategie che possono attenuare il fenomeno ed hanno rivisto le loro politiche di concessione degli spazi pubblicitari ai siti web che adottano la notiziabilità delle news in modo improprio, o addirittura ne diffondono di false.

E mentre nascono svariati siti che si occupano di assicurare l’attendibilità delle notizie, Google ha introdotto il Fact Check affidandosi ad una comunità di “garanti delle notizie” e Facebook ha varato un algoritmo che interagisce con i suoi utenti, tutto questo sembra solo l’inizio di un primo passo verso una crescente presa di consapevolezza della necessità di regolamentare la veridicità dell’informazione.

Insomma, potremmo dire che l’umanità intera è convolta nella costruzione delle regole della conversazione mediale. L’umanità, infatti, non è determinata dai media nei suoi processi comunicativi e non, ma è sempre soggetto attivo e responsabile nella costruzione di questi, su convinzione si  radica il principio dell’umanità mediale (Ceretti – Padula, Umanità mediale 2016). Alla luce di questo principio, per comprendere meglio il fenomeno “bufale” così in espansione nella “comunicazione mediale”, occorre tener presenti alcuni aspetti della conversazione umana al fine di acquisire una maggiore consapevolezza ed educarci all’uso dei media e della comunicazione di cui in essi fruiamo.

Perché innanzitutto le bufale ci allarmano? Perché la comunicazione umana è strutturata sulla veridicità dell’informazione, infatti i costi sociali del comunicare sarebbero molto più elevati se la comunicazione dovesse svilupparsi ripetutamente sulla continua necessità di verificare le informazioni, aumenterebbe il conflitto personale, e richiederebbe anche un impegno di risorse cognitive non indifferente.

E dunque perché esiste la menzogna e le bufale? Molteplici sono i motivi che possono portare alla menzogna. Tuttavia vale il principio generale che la menzogna viene impiegata per trarre un vantaggio maggiore rispetto alla comunicazione veritiera, in particolare le bufale traggono il loro guadagno a spese della violazione di un principio importantissimo nella comunicazione che è quello della qualità dell’informazione. Tra i quattro principi della comunicazione, insieme con quello della qualità, della pertinenza e della chiarezza (Grice 1975) è quello più importante e quindi il suo guadagno si fa maggiore e, di conseguenza, anche la sua violazione si fa più grave. Mentre le violazioni degli altri principi sono percepiti come incompetenza comunicativa questa è percepita come un’offesa morale (Gili-Colombo 2012).

Quanto detto sulla necessità che il processo comunicativo sia veritiero, a motivo del suo costo di natura cogniva, innanzitutto, è confermato in particolar modo dagli studi sull’attenzione. I messaggi vengono recepiti dal destinatario della comunicazione secondo due percorsi: quello centrale e quello periferico (Petty – Cacioppo 1981) o pensiero lento e pensiero veloce (Kahneman 2012).

Il primo è ad alta densità di attenzione di tipo vigile e critica, logica e riflessiva, il secondo non valuta a fondo le questioni presentate, ma è più intuitivo e automatico e si lascia guidare nel giudizio dalle caratteristiche del comunicatore. Quello che crea la differenza tra l’attivazione dei due modi di attenzione è la quantità di informazione. Agiamo da risparmiatori cognitivi e le bufale si diffondono proprio lì dove l’eccessiva sovraesposizione ad un contenuto informativo ci induce a minimizzare l’attenzione alla veridicità della notizia, soprattutto se ci è inoltrata da qualcuno che giudichiamo affidabile, o che ritroviamo in sintonia con le nostre convinzioni. Il tempo in internet è un tempo ad alta densità: l’istante è carico e stratificato dalla contemporaneità delle informazioni (Rivoltella 203).

Le analisi di marketing registrano un abbassamento della soglia di attenzione a motivo della enorme disponibilità di informazione a fronte di quella che effettivamente una persona può fruire.

Si diffondono contenuti “snackable”, ovvero sempre più fruibili e condivisibili in pochissimo tempo, e questo calo di attenzione costituisce un facile terreno per la divulgazione delle bufale.

È importante prendere atto di questi meccanismi, nella consapevolezza che l’uomo non è dominato da essi, ma ha sempre la libertà di disporre della sua attenzione e del tempo che decide intenzionalmente di rivolgere ai contenuti in rete. Solo da questa conoscenza può seguire un’educarsi personalmente e un contribuire a generare una comunicazione, anche sul web, degna della ricchezza della sua umanità mediale.