A Cannes “Ladri di bicilette” simbolo di quell’Italia che si ricongiunge a se stessa

Oggi nella sezione Cannes Classics la presentazione di Ladri di bicilette. Il film di Vittorio De Sica, con Cesare Zavattini alla scrittura, è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna

di Massimiliano Menichetti – Città del Vaticano

Fonte https://www.vaticannews.va

Oggi nella sezione Cannes Classics, nell’ambito del 71° Festival di Cannes (8-19 maggio), la presentazione di Ladri di bicilette, in occasione dei 70 anni dell’opera. Il film di Vittorio De Sica, con Cesare Zavattini alla scrittura, è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna. Un omaggio dal prestigioso festival francese all’Italia attraverso uno dei film manifesto del neorealismo, che con Roma città aperta di Rossellini e La terra trema di Visconti rappresenta un’eredità culturale mondiale, testimonianza di storia e memoria. Per l’occasione, abbiamo chiesto a mons. Dario Edoardo Viganò, Assessore alla Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e studioso di cinema, di condividere alcune riflessioni a partire dal film.

Mons. Viganò quale l’Italia che fa da sfondo a Ladri di bicilette di De Sica?

Mi piace pensare al 1948 come a una data simbolica, vale a dire una “tessera hospitalitas” per cui – secondo l’usanza – due individui, due famiglie o anche due città, spezzavano una tessera, di solito di terracotta o un anello, e ne conservavano ognuno una delle due parti a conclusione di un accordo o di un’alleanza. Nel nostro caso l’anello è un’alleanza ricostruita tra la popolazione ferita, dal culmine della seconda guerra mondiale, e la nuova classe dirigente che doveva ricostruire l’Italia.
Per osmosi, Ladri di bicilette di De Sica, diventa non solo manifesto culturale ma simbolo del 1948, e di quell’Italia che si ricongiunge a se stessa. Per tale ragione, questo film è da molti ritenuto il capolavoro del neorealismo. Infatti, dopo il suffragio universale del 2 giugno 1946, con cui gli italiani scelgono la Repubblica come forma istituzionale dello Stato, e dopo un lungo lavoro dell’Assemblea Costituente, il 1° gennaio 1948 entra in vigore la nuova Carta costituzionale. Non va dimenticato inoltre che, per la sua posizione geografica e per la presenza di un fronte delle Sinistre, l’Italia rappresenta un punto di equilibrio tra i blocchi vincitori della guerra. Sono anni nei quali l’Italia vive un’economia totalmente debilitata, al punto che il Piano Marshall varato dagli Stati Uniti prevede in 4 anni la possibilità di utilizzo di 14 miliardi per far ripartire un Paese devastato dalla guerra. Le elezioni dell’aprile dello stesso anno portano a una vittoria del fronte cattolico molto ampia e, di conseguenza, la penalizzazione delle Sinistre. Si avvia così una profonda spaccatura ideologica tra il mondo operaio, appannaggio delle Sinistre, e il mondo contadino, mescolato ad associazioni del cattolicesimo. Da ultimo il 14 luglio di quel 1948 avviene l’attentato a Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista. Insomma, un anno non facilmente archiviabile. In questa Italia in ricostruzione il cinema diventa una risorsa culturale riconosciuta da tutto il mondo e se De Sica è uno degli esponenti maggiori della cinematografia neorealista, non possiamo certo dimenticare che proprio in quell’anno si dà vita ad una feconda produzione cinematografica: Germania anno zero di Rossellini; La terra trema di Visconti; Senza pietà di Lattuada; Anni difficili di Zampa. Questa può apparire solo come una mera lista di film ma, in realtà, con Ladri di bicilette in cima, è raccontata l’Italia del post-guerra con tutte le sue criticità.

Eppure l’Italia ha grande desiderio di rinascita. Cosa avviene dal punto di vista sociale, quali i segni di un cambiamento nella vita degli italiani?

Quelli sono gli anni nei quali l’obbligo scolastico, previsto allora fino alla quinta elementare, è disatteso e oltre il 12% della popolazione è analfabeta. Eppure l’Italia è un Paese con grande voglia di ripresa. A fronte di tanti problemi, infatti, non manca il coraggio e la tenacia di rimboccarsi le maniche per dare una svolta alla propria esistenza. Dalle campagne del Sud ci si sposta al Nord industrializzato e poi, spesso, verso gli altri Paesi europei dove trovare un riscatto. Sono anche gli anni in cui alcuni prodotti, che avranno grande successo come la Lambretta, antagonista della Vespa, o la lavatrice che fa mostra di sé alla Fiera Campionaria di Milano del 1946, incidono sulle abitudini degli italiani e in fondo contribuiranno allo sviluppo e alla modernizzazione del Paese.
La spinta a questa nuova rinascita non è solo un desiderio materiale ma un desiderio a costruire un tessuto sociale di famiglie capaci di ritrovarsi intorno ad un tavolo ed essere di nuovo uomini e donne liberi. Qui possiamo dunque ritrovare non solo la sacralità della famiglia nell’accezione cristiana, ma una sorta di religiosità primordiale, capace di essere vangelo senza nemmeno accorgersene, come lo sarà tanta cultura e tanta vita figlia di questi anni di ricostruzione.

Che sguardo trasmette allora Ladri di biciclette?

La storia raccontata non ha nulla di interessante eppure il film ha ricevuto l’Oscar speciale come miglior film straniero. In fondo il film tratta di un fatto quotidiano, la storia di un furto, che viene trasformato da De Sica e Zavattini in un dramma dell’esistenza, nel quale si legge fin troppo bene un giudizio: la società non permette il riscatto dei meno fortunati, degli ultimi. Proprio questa diventa la forza del film e la sua attualità, vale a dire la capacità di essere universale nel considerare l’uomo vittima di eventi e di torti che diventano voragini dell’anima. La storia diventa così una parabola, una nuova parabola dove la condanna di un pover’uomo è figlia di un gesto estremo e quel gesto ha bisogno di un abbraccio misericordioso e del perdono che non sembra mai essere cosa umana. De Sica ci accompagna verso un finale di speranza indefinita, dove chi blocca il protagonista ormai ladro per necessità, lo perdona, lasciandolo alla sua disperata rassegnazione. De Sica, che con Cesare Zavattini aveva già lavorato in ‘I bambini ci guardano’ nel 1943 e in ‘Sciuscià’ nel 1946, presentando il suo progetto nel febbraio del 1948 scriveva: “Perché faccio questo film? Eccolo, dopo ‘Sciuscià’, ho avuto tra le mani trenta o quaranta copioni, se volete uno più bello dell’altro, pieni di fatti, di circostanze fortissime. Ma io cercavo una vicenda meno straordinaria, nell’apparenza, una vicenda di quelle che accadono a tutti, e specialmente ai poveri”.

Qual è la scelta stilistico-narrativa di De Sica-Zavattini?

Come scrive lo storico Gian Piero Brunetta “il racconto procede per associazioni, senza alcuna necessità di dover rispettare le scadenze drammatiche: il dramma è tutto interiorizzato e chiuso nel linguaggio di sguardi e gesti che si scambiano Ricci e il figlio ed è tenuto in tensione, non tanto perché si avverte che la ricerca possa condurre a una soluzione positiva, quanto per la presenza di vuoti continui, di perdita dello scopo, di apertura di parentesi interne che innescano false piste e fanno perdere i protagonisti nel labirinto urbano”.
Un lavoro di scrittura del film che prende le distanze dall’omonimo romanzo di Luigi Bartolini da cui è tratto, e che ha saputo del particolare l’atto di convocazione del tutto. Nel tutto di un’umanità romana fatta di netturbini e postulanti di una santona, il particolare di uno sguardo o di un gesto, pur appartenendo al tutto di quell’umanità, la trascende, diventando punti di contingenza eccezionale.
Tra i sostenitori del film non possiamo certo dimenticare anche André Bazin, padre spirituale della nouvel vague, che disse “Ladri di biciclette è uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente, nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema”.

Quali aspetti l’hanno colpita maggiormente?

De Sica dirige i suoi attori non professionisti con una intensità magistrale. Difficile dimenticare, dopo aver visto il film anche solo una volta, i volti di Antonio Ricci/Lamberto Maggiorani e di suo figlio Bruno/Enzo Staiola. Insomma, come dice papa Francesco, “una vera ‘catechesi’ di umanità”. E’ lo stesso De Sica a illuminare il senso del film: “se il ridicolo vi è in questa storia, – afferma – è il ridicolo delle contraddizioni sociali su cui la società chiude un occhio; è il ridicolo dell’incomprensione per la quale è molto difficile che la verità e il bene si facciano strada. Alla sofferenza degli umili il mio film è dedicato”. Proprio queste caratteristiche hanno colpito non solo il pubblico ma anche la cultura cinematografica. Vorrei concludere ricordando una scena di uno dei capolavori di Altman, I protagonisti, dove un produttore cerca uno sceneggiatore e lo trova in un piccolo cinema di Pasadena che guarda Ladri di biciclette in edizione originale. Anche questo dà il senso della sua universalità.