I cattolici e la televisione. Padula (Aiart): “Un grande progetto formativo di rieducazione alla visione”

“Vorrei che l’Aiart si svecchiasse, non soltanto dal punto di vista anagrafico, ma dei comportamenti e delle percezioni. Sennò andremo verso l’estinzione”. Di Riccardo Benotti dal sito del SIR del 22 aprile 2016

“Oggi le persone non sono passive davanti ai contenuti ma creano percorsi di fruizione personale, itinerante e crossmediale. Rieducare l’utente alla visione diventa allora un impegno primario”. Ne è convinto Massimiliano Padula, nuovo presidente dell’Aiart: “Vorrei che l’Aiart si svecchiasse, non soltanto dal punto di vista anagrafico, ma dei comportamenti e delle percezioni. Sennò andremo verso l’estinzione”. E aggiunge: “La presenza sui media sarà calibrata. Dobbiamo fare proposte, e non solo proteste, per mostrare quanto di buono e di positivo i media possono diffondere”

“È necessario creare le premesse per la tutela dell’utente mediale. L’idea di telespettatore, che rimanda all’identità della nostra associazione, è ormai riduttiva. Lo spettatore è colui che aspetta, ma lo scenario dei media è cambiato radicalmente rispetto al passato”. Docente di comunicazione alla Lateranense, dove coordina anche il Centro Alti Studi, Massimiliano Padula è il nuovo presidente dell’Aiart (Associazione spettatori onlus): “Oggi le persone non sono passive davanti ai contenuti ma creano percorsi di fruizione personale, itinerante e crossmediale. Rieducare l’utente alla visione diventa allora un impegno primario”. Trentotto anni, Padula immagina i primi passi che l’associazione deve compiere.

Se la definizione di “spettatore” è superata, cambierà anche la denominazione dell’Aiart?
Le telefonate di protesta che ci arrivano sono sempre meno. Da una parte è riconducibile alla crisi e alla stanchezza generale ma, dall’altra, bisogna considerare che le persone hanno a disposizione più prodotti mediatici e quindi possono evitare quelli che non piacciono. A me non entusiasma il termine “utente”, che ha un senso burocratico. Ma “spettatore” è certamente limitante. Ci sarà una riflessione all’interno dell’associazione.

“Educare. Formare. Tutelare. Costruire reti e ponti. Sollecitare il senso critico. Difendere i minori”. Sono alcuni degli impegni che ha assunto quando è stato chiamato alla guida dell’Aiart. È un programma impegnativo?
Il digitale è ormai parte innervante nell’esistenza delle persone. Sono cambiati i codici con i quali percepire e interpretare la realtà, i tempi e gli spazi, le modalità di fruizione.

Si è passati da una ricezione tradizionale, in cui la tv era seguita in modo statico e stanziale, a una personale che si caratterizza per la gestione autonoma e creativa dei contenuti su dispositivi mobili in modalità dinamica e nomade. Tutto ciò implica la necessità di riabituarsi a un nuovo tipo di fruizione.

Lei parla di un “grande progetto formativo” di “rieducazione alla visione” che abbraccerà i soci Aiart ma non solo.
Pensiamo a un percorso formativo non di tipo classico. Non dobbiamo più educare alla visione, dicendo cosa è giusto e cosa è sbagliato guardare, ma fornire quegli strumenti necessari per decodificare la realtà mediale contemporanea. Inizieremo con una giornata di aggiornamento dopo l’estate, che vedrà coinvolti gli associati e un gruppo ristretto di persone interessate. L’approccio sarà dinamico e in stile cooperative learning, si parlerà delle tecniche di creazione di contenuti sul web, dei software di facile utilizzo e dei social network come canali di visione. Vorremmo promuovere la “formazione dei formatori”, ovvero degli operatori che si trovano sul territorio. È un progetto ambizioso, anche tenendo conto dell’età media degli associati.

C’è una crisi della partecipazione? È difficile trovare persone che si impegnino nell’associazionismo e nel volontariato?
Non è semplice. L’età è sintomatica: i nostri soci sono soprattutto persone in pensione, con più tempo libero a disposizione.
Vorrei che l’Aiart si svecchiasse, non soltanto dal punto di vista anagrafico, ma dei comportamenti e delle percezioni. Sennò andremo verso l’estinzione.

Ci sarà un’attenzione maggiore alle nuove tecnologie? Anche il sito dell’Aiart sarà ripensato?
Il sito è un grande contenitore aggiornato quotidianamente. Mi piacerebbe che fosse più snello: un piccolo portale informativo e crossmediale, in cui possano convivere diversi linguaggi e sia facilitato il rapporto con i social.

Cambierà anche la presenza dell’Aiart sui media?
A volte si corre il rischio di essere ridotti a posizioni stereotipate. Non è facile uscirne. Se l’Aiart non risponde come ci si aspetta, può cadere nel dimenticatoio. Per questo motivo, la presenza sui media sarà calibrata e cercheremo di essere “portatori di sfumature”, criticando, portando alla luce il discutibile ma provando a spiegare anche il perché delle nostre perplessità.
Dobbiamo fare proposte, e non solo proteste, per mostrare quanto di buono e di positivo i media possono diffondere.

Perché c’è bisogno di un’associazione di spettatori cattolici?
L’angolazione di senso che un cattolico preparato può avere, è un valore aggiunto in qualsiasi ambito: dai media alla politica, dalla scuola alla famiglia. Non significa ghettizzarsi e omologarsi, ma interagire con gli altri a partire dalla propria identità.