Una ricerca empirica sulle attività di media education

Daniela Robasto, professore per la didattica integrativa di metodologia della ricerca educativa e dottore di ricerca in scienze dell’Educazione presso l’Università di Torino, si propone di fornire un’attenta riflessione sulla necessità della media education, sull’importanza del saper progettare interventi di media education sul territorio e, non ultima, sulla necessità di una socializzazione della progettazione. Dal n.36 di settembre 2015 della rivista trimestrale dell’Aiart La Parabola.

http://188.226.175.150:4545/www.aiart.org/public/web/documenti/Daniela_Robasto_-_Una_ricerca_empirica_sulle_attivita_di_media_education.docx

Una ricerca empirica sulle attività di media education
di Daniela Robasto

1. Tra ricchezza di aspettative ed obiettivi sfumati
Il contesto extrascolastico, territoriale, è solitamente un ambiente fluido, con una strutturazione flessibile e un legame forte con gli enti locali. La media education, intesa come insieme di contenuti disciplinari che abbiano i media come oggetto della didattica, presenta sostanzialmente le medesime caratteristiche di flessibilità e di eterogeneità, a causa dell’ampia gamma di modalità in cui è possibile fare media education. L’eterogeneità della media education riguarda sia gli strumenti mediali utilizzati, sia i diversi obiettivi mediali possibili che, infine, le molteplici attività attraverso le quali è possibile raggiungere tali obiettivi, pertanto progettare interventi di media education sul territorio significa vivere e gestire una doppia eterogeneità, dovuta da un lato alle caratteristiche del contesto stesso, dall’altro ai contenuti disciplinari. L’eterogeneità duplice non annulla tuttavia l’esigenza di progettare con rigore e metodo i propri interventi mediaeducativi, tenendo in ampia considerazione gli obiettivi di apprendimento e cambiamento , le modalità di erogazione della formazione e le risorse a disposizione. Il responsabile di una struttura che si occupa di laboratori e/o attività mediaeducative, anche al di fuori del contesto scolastico, è pertanto spesso, che lo voglia o meno, anche un progettista della formazione. Così come illustrato nel contributo di Felini la progettazione di un intervento educativo e formativo prevede alcune fasi che sostengono e, per molti aspetti tutelano, la validità di un progetto. A seguito della progettazione, puntuale e tempestiva, si aggiunge inoltre la necessità di una socializzazione della progettazione con tutti gli attori-chiave del progetto formativo. Pertanto è opportuno che la socializzazione dei progetti di media education nel contesto extrascolastico, non passi solo tramite un elenco di attività da mettere in campo ma che socializzi almeno quelle fasi di progettazione utili per agevolare gli operatori/educatori nel loro compito ed essere certi che operatori diversi, con diverse peculiarità e competenze professionali, abbiano chiare mete condivise. La condivisione all’interno del gruppo di lavoro dovrebbe almeno riguardare:
1. La definizione di mete e di un quadro di obiettivi da raggiungere.
2. Una pianificazione degli interventi coerente con gli obiettivi scelti ed i tempi a disposizione
3. La conoscenza dei fattori che possono influire sul raggiungimento degli obiettivi (in positivo o in negativo)
4. Un sapere teorico-operativo su come si attuano gli interventi per conseguire i fini appropriati.

2. Divergenza e convergenza dei progetti di media education sul territorio.
Chi conduce attività di media education sul territorio è solitamente una persona che è in grado di gestire bene un pensiero divergente . Negli anni settanta del 1900, J.P Guilford formulò il concetto di pensiero divergente per definire pensiero che è peculiare degli individui creativi. Guilford attribuì quattro caratteristiche a tali individui: la fluidità (intesa come la capacità di proporre rapidamente molte idee o soluzioni); la flessibilità (la capacità di affrontare un problema in maniere diverse); l’originalità (la capacità di proporre idee nuove e inattese); l’elaborazione (la capacità di organizzare, dettagliare, portare a compimento un’idea creativa). Potremmo tuttavia aggiungere che, nel nostro contesto, nell’elaborazione di un percorso mediaeducativo non dovrebbero essere omesse le fasi di una buona progettazione. Procedere per fasi, secondo uno schema logico e per certi aspetti predeterminato, è tuttavia caratteristica tipica del pensiero convergente ed in questo assunto sono forse racchiusi molti dei nodi problematici della progettazione delle attività mediaeducative sul territorio. Secondo una ricerca empirica condotta da chi scrive nel biennio 2008-2009 che ha portato alla mappatura di 297 attività di media education condotte sul territorio italiano, al di fuori del contesto scolastico, il 68% dei responsabili delle strutture, nell’item aperto dedicato alla descrizione dei progetti di media education, non ha creduto opportuno esplicitare gli obiettivi delle attività in corso. Molto più frequentemente lo spazio è stato utilizzato per descrivere l’attività operativa ed il tipo di strumenti (mediali) utilizzati. Successivamente alla mappatura delle 297 attività di media education, è quindi stato predisposto un questionario specifico, questa volta con un più altro grado di strutturazione, per meglio comprendere le caratteristiche delle attività mediaeducative proposte (in Fig. 1 un estratto). Tra gli item a risposta chiusa ne è stato inserito uno apposito al fine di mettere a controllo gli obiettivi prevalenti delle attività di media education.

Fig. 1 – Estratto del questionario sulle attività di media education svolte nel contesto territoriale, non scolastico

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Come si evince dal grafico in Fig. 2, i rispondenti delle circa 300 attività mediaeducative extrascolastiche si concentrano in Emilia-Romagna (22%), Lombardia (21%), Piemonte (16%), Toscana (13%) e Veneto (7%). Per quello che concerne, invece, gli obiettivi prevalenti delle attività proposte (Fig. 4), esse effettivamente spaziano da obiettivi squisitamente mediaeducativi (es: sapere scrivere, leggere e fruire criticamente di un messaggio mediale) ad obiettivi decisamente più trasversali, legati al saper stare in gruppo, divertirsi, fare rete etc. Sempre all’interno della ricerca esplorativa sopramenzionata, sono stati inoltre posti alcuni quesiti circa la fascia di età target del progetto, il tipo di finanziamento dell’attività e la formazione degli educatori/operatori coinvolti nel progetto di media education. Anche su questi versanti emerge una forte eterogeneità delle attività svolte contesto territoriale. In particolare, la fascia di età prevalente con cui vengono svolte attività mediaeducative sembra essere quella adolescenziale (14-18 anni, con una percentuale del 51%), senza tuttavia tralasciare né la fascia dei bambini iscritti alla scuola primaria (42%) né quella degli adulti, oltre il diciottesimo anno d’età (circa un 40%). Tali utenti sono inoltre nel 77% dei casi normodotati, nel 12% dei casi normodotati ma inseriti in contesti fortemente disagiati e nella restante percentuale (circa un 10%) utenti stranieri e/o con bisogni educativi speciali. Le attività che vengono proposte, nel 31% dei casi hanno un durata sotto le 25 ore, mentre nella restante percentuale (69%) superano le 25 ore di progetto, per arrivare, in circa il 40% dei casi, a superare le 30 ore di attività.

Fig. 2 – Distribuzione geografica delle attività di media education in Italia.

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Fig. 3 – Grafico sulle strutture extrascolastiche che hanno attivato progetti di media education

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Fig. 4 – Grafico sugli obiettivi prevalenti delle attività di media education svolte nel contesto territoriale, non scolastico. Le somma della frequenze percentuali supera il 100% in quanto all’item era possibile fornire più risposte

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Rispetto al tipo di finanziamenti impiegati per supportare le attività di media education, si nota in Fig. 5 come il contributo privato (dello sponsor locale, piuttosto che della banca o fondazione ubicata sul territorio) rimanga il canale principale per il reperimento delle risorse finanziarie.

Fig.5 – Grafico sui tipi di finanziamento a supporto delle attività di media education. Possibili più risposte

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Infine, rispetto alla formazione degli operatori che conducono i progetti di media education sul territorio, si può notare in Fig. 6 come o venga fatta formazione interna (33%), tra operatori, o non venga fatta formazione (25%). La percentuale “altro tipo di formazione”, che sembrerebbe suggerire una formazione diversa rispetto a quelle presenti in elenco, nel dettaglio del campo aperto in cui specificare la propria risposta, ha portato in realtà ad individuare numerosi asserti che conducono ragionevolmente a supporre che la formazione vera e propria in realtà non sia stata condotta. In particolare, riportiamo qui un asserto che ci pare emblematico rispetto al titolo del presente volume. Sul campo aperto “Se ha risposto -altro tipo di formazione-, specifichi di seguito la propria risposta” è stata riportata la presente risposta: “Il momento formativo coincide con il momento della progettazione che è condivisa. In genere le competenze dei conduttori dei laboratori sono acquisite dagli stessi durante propri percorsi personali”.

Fig. 6 – Grafico sul tipo di formazione attuata agli operatori/educatori delle attività di media education sul territorio.

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Potremmo, ottimisticamente, supporre che per “percorsi personali” di formazione si intendano percorsi di studio compiuti precedentemente o una formazione specialistica ricevuta prima di iniziare a collaborare con un certo ente. L’item successivo che indaga “Con quale criterio sono stati scelti i formatori per l’attività di Media education” smorza, non poco, la possibile interpretazione ottimistica del dato precedente. Tale item ha infatti l’83% di risposte mancanti (pertanto alla domanda si è preferito non rispondere). Il 17% del campione che ha invece risposto all’item, ha individuato come criterio principale di reclutamento (nell’83% dei casi) una professione che fosse “a stretto contatto con i Media”.

3. La progettazione a supporto di un metodo condiviso
Alcuni risultati della ricerca esplorativa citata, seppur non generalizzabili, nonché una parte della letteratura di riferimento sugli enti che si occupano di educazione/formazione di carattere ludico-ricreativo (e non professionale), mettono in luce alcune peculiarità dei contesti che tendenzialmente potrebbero occuparsi di progetti di Media education fuori dall’ambito scolastico. Quando ci si allontana dalle aule scolastiche, il gruppo classe diventa eterogeneo in tutte le sue possibili dimensioni (età, genere, nazionalità, problematicità, finalità, interessi etc). Si può lavorare, nell’arco della stessa giornata, a contatto con bambini in età scolare, adolescenti, adulti o anziani. La media education è trasversale e può essere “applicata” a diverse fasce di età. Questo dato di fatto, se da un lato costituisce un punto di forza della disciplina, dall’altro lato conduce al rischio di progettare attività “a catalogo” che riescono ad essere “pubblicizzate” come attività di media education, ma che in realtà hanno una componente preponderante di “media” (intesa come presenza effettiva di strumentazione mediale all’interno dell’attività) e una quasi totale assenza di componente education (che invece richiede una forte calibratura su obiettivi formativi e/o educativi specifici che necessariamente variano a seconda della fascia di età in oggetto). In seconda istanza, il preponderante finanziamento privato (dello sponsor o dell’ente locale) può portare da una lato ad una maggior libertà di individuazione di aree formative e modalità di erogazione della formazione non tradizionali, non sempre possibili con finanziamenti pubblici che rispondono a bandi standard, da un altro versante tale tipo di finanziamento può condurre ad un ripensamento degli obiettivi educativi/formativi, al fine di intercettare contemporaneamente più canali di finanziamento, abbassando la specificità delle finalità progettuali. In ultimo, il tema della formazione formatori apre una chiosa “assai nota e dolente” nel campo della formazione in generale, ed ancor più nel campo della formazione in contesti no-profit. Quale formazione deve avere un educatore/operatore che conduca progetti di media education? E’ sufficiente che sia un appassionato di fotografia? E’ necessario che sia un esperto di programmazione e gestione di servizi educativi? Quali le competenze maggiormente utili ed indispensabili per condurre con un minimo livello di efficacia, un percorso di media education nell’ambito extrascolastico?

E’ ovvio che molti quesiti qui formulati, non possono trovare risposta nel limitato spazio di un contributo; pur tuttavia crediamo che il tema della progettazione degli interventi educativi (e non solo media educativi) possa fornire spunti per mettere a punto progetti maggiormente validi, senza rinunciare al carattere “creativo-divergente” che contraddistingue la media education. Redigere un progetto educativo/formativo significa interrogarsi a preventivo, e non – come può spesso succedere – a consuntivo, sulle ricadute del progetto sugli utenti, in termini di raggiungimento di obiettivi generali e specifici; significa delimitare in modo inequivocabile i destinatari diretti dell’azione educativa ed eventualmente i destinatari indiretti (famiglie, gruppo dei pari, colleghi etc). Progettare significa porsi puntualmente il quesito delle risorse umane da coinvolgere nel percorso educativo ed il profilo degli operatori/educatori dovrebbe essere definito sulla base della loro competenza circa gli obiettivi da raggiungere (e non puramente sulla loro esperienza nell’utilizzo degli strumenti mediali che si impiegheranno per raggiungere tali obiettivi). In ultimo progettare seguendo fasi rigorose significa porsi, adeguatamente in anticipo, il problema del monitoraggio e della restituzione dei risultati raggiunti, al fine di evitare un mero questionario di gradimento (di fine corso) poco utile per un riflessivo percorso di miglioramento continuo, sia delle attività erogate sia di crescita dell’ente stesso.