Aiart, educare ai media digitali urgenza sociale

di MASSIMO IONDINI
da Avvenire del 17/02/2019

Una triplice intesa tra genitori, insegnanti e istituzioni per costruire una nuova cittadinanza, anche digitale. Con la famiglia e la scuola alleate per quella che appare sempre più un’impresa educativa di fronte alle continue sfide di un mondo complesso e sfaccettato. E sul peso specifico delle parole, delle immagini e dei nuovi linguaggi gioca un ruolo decisivo il senso di responsabilità. A mettere il dito nella piaga di questi caotici tempi sovraccarichi di input mediatici ci ha pensato l’Aiart – Associazione Italiana Telespettatori che, in occasione dei suoi 65 anni, ha organizzato presso l’Università Cattolica di Milano il convegno Contributi per una cittadinanza digitale, per individuare possibili iniziative per affrancare la società dall’attuale Far West comunicativo, le cui prime vittime sono i soggetti più giovani. Eppure, a dover essere per primi rieducati pare debbano essere anzitutto i genitori, coloro che hanno in mano il timone familiare. «I genitori oggi sono allo sbando – dice Mussi Bollini, vice direttrice  di Rai Ragazzi e presidente della Commissione Pari opportunità della Rai –, mentre dovrebbero essere i principali responsabili del cosiddetto villaggio educativo. Io faccio tivù per ragazzi da 37 anni, ma mai come oggi è stato difficile pensare contenuti per i bambini. Si pensi che solo per loro, tra pay tv e free, ci sono ben 32 canali televisivi. Per questo bisogna puntare sulla media education. Una fiction, per esempio, può avere una funzione educativa, mentre il talk show spesso rovina un costruttivo rapporto del pubblico con la tv». Anche cinema e serie tv, per Armando Fumagalli (docente di Teoria dei linguaggi alla Cattolica), hanno un ruolo importante «nel costruire una visione del mondo per i ragazzi». E se il presidente di Aiart Milano Stefania Garassini invita a «non temere ma ad avere un atteggiamento esplorativo verso il mondo digitale per suggerire percorsi e condividere sempre di più un terreno comune tra ragazzi e adulti», sulla presunta particolare aggressività dei social interviene Gigio Rancilio (social media manager di Avvenire) per il quale la violenza verbale che si riscontra spesso, per esempio, su Twitter «non è frutto specifico della Rete, ma dell’aggressività e della volgarità insite nella società stessa». Va da sé che per circoscrivere o persino convertire in comunicazione virtuosa e costruttiva tutto  questo magma mediatico servano controlli, sanzioni e soprattutto educazione. Sul tema della violenza anche l’intervento dello psichiatra Giorgio Lattanzio che, nella relazione “La deriva dei Troll: parole volgari e aggressive”, ha spiegato il fenomeno di quegli utenti anonimi che intralciano le chat inviando messaggi provocatori. Una sorta di hooligans della Rete. Ma se sanzionare i rei di Internet è ancora difficile, efficaci strumenti sono invece previsti dalla legge per la tv. Eppure, lamenta Marianna Sala (presidente del Corecom Lombardia), «di fronte alle segnalazioni che facciamo, spesso l’Agcom non interviene con le adeguate sanzioni». Necessaria dunque una convergenza di tutti i soggetti in campo, fermo restando il primato educativo di famiglia e a scuola. E proprio l’Aiart, presieduta da Giovanni Baggio, ha raccolto firme per far introdurre la media education a scuola. Per una nuova cittadinanza.