Gli atti del corso nazionale di formazione di Pavia 24-25-26 ottobre 2013

Gli atti e le relazioni tenute al corso nazionale di formazione sul tema: “Come i media cambiano la vita” che si è svolto a Pavia nei giorni 24, 25 e 26 ottobre 2013.

Pieghevole corso formazione nazionale Pavia 24-26 ottobre 2013 Pieghevole corso formazione nazionale Pavia 24-26 ottobre 2013

Sarebbe arduo anche per un giornalista navigato trasmettere il valore e il calore del Corso Nazionale di Formazione, promosso dall’AIART, e svoltosi a Pavia con quattro sessioni di lavoro, saggiamente distribuite nei giorni 24-26 ottobre. Noi due, non giornalisti, ma soci fedeli dell’AIART di Como, che abbiamo accettato l’incarico di scrivere questa relazione, lo facciamo come ci riesce, ma con passione, dopo aver partecipato con entusiasmo ad un Corso, che consideriamo tra i migliori, se non il migliore, che l’AIART abbia organizzato negli ultimi anni. Rendiamo onore al Presidente nazionale, dott. Luca Borgomeo, ed al Presidente provinciale di Pavia, dott. Giancarlo Arbasini, ed ai loro collaboratori, per aver proposto argomenti di grande spessore culturale ed educativo, e di pressante attualità. “Come i media cambiano la vita”: già questo titolo generale meritava viva attenzione, e, a cose fatte, va detto che qualcuno potrebbe rammaricarsi di non aver approfittato di un’occasione così preziosa. I promotori del Corso [congiuntamente all’AIART, la Diocesi di Pavia e l’Ufficio Comunicazioni Sociali della C.E.I.] vanno elogiati anche per le scelte logistiche, dall’albergo “Moderno” in ottima posizione e con trattamento signorile, alla sede dei lavori, il “Seminario Vescovile”, accogliente e ben dotato. (Di Edoarda e Abele Dell’Orto).

Nei quattro capitoletti successivi riassumeremo i lavori delle intense giornate di Pavia, ma in premessa vogliamo sottolineare che anche i tradizionali saluti di benvenuto e gli auguri delle autorità, di giovedì 24 ottobre, nonché l’omelia del Vescovo alla Santa Messa di sabato mattina, hanno fornito interessanti contributi per la messa a fuoco degli argomenti al centro del dibattito del Corso. Dopo il saluto iniziale del dott. Giancarlo Arbasini, presidente dell’AIART di Pavia, che ha ricordato come, di fronte ad una TV dai mille canali, non si debbono ricercare avversari da respingere, ma occorre fare analisi serie e cercare proposte e soluzioni concrete, il sindaco di Pavia, dott. Alessandro Cattaneo, ha sottolineato che anche il legislatore ha la sua responsabilità per definire norme che aiutino a minimizzare i rischi della realtà virtuale che può rendere schiavi, e a massimizzare le opportunità, comprese quelle di lavoro, che i media offrono. A sua volta, il Presidente della Provincia di Pavia, dott. Daniele Bosone, riflettendo sulla molteplicità dei media e su come si intrecciano o si mortificano le relazioni personali, ha auspicato che tutti, ma specialmente i ragazzi, acquistino consapevolezza nell’uso degli strumenti di comunicazione, reagendo al rischio della passività con spirito creativo e critico. Ancor più pregnanti le considerazioni del Vescovo di Pavia, Mons. Giovanni Giudici, il quale, premesso che noi esistiamo perché comunichiamo, e che la comunicazione di massa è un fatto antropologico, ha insistito sulla sfida da affrontare con i media, perché siano occasioni di dialogo e di crescita. Promuovere una vera comunicazione è una sfida “culturale” (riguarda il modo di rapportarsi con gli altri, ed anche di lavorare, nonché la responsabilità di saper accendere e spegnere, di scegliere il bene e di rifiutare ciò che è negativo), una sfida “religiosa” (i mass media fanno parte della creazione, come dono di Dio), e perfino una sfida “teologica” (la comunicazione è già all’interno della Trinità, ed il Verbo ha comunicato attraverso la Parola, la Croce e la Resurrezione). Nell’omelia di sabato mattina, poi, Mons. Giudici ha rimarcato che i media dovrebbero tenere sempre al centro le persone, evitando lo scoop o la morbosa curiosità, soprattutto quando si parla di fatti drammatici, ed ha raccomandato a ciascuno di trafficare bene i propri talenti, esercitando una coscienza vigile, creativa, libera e critica.

Il vice presidente nazionale dell’Aiart prof. Giovanni Baggio, il vescovo di Pavia mons. Giovanni Giudici, il presidente nazionale dell’Aiart dott. Luca Borgomeo e il presidente dell’Aiart di Pavia dott. Giancarlo Arbasini.

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In prima fila il Segretario del Comitato di presidenza nazionale dell’Aiart dott. Domenico Infante e il sindaco di Pavia dott. Alessandro Cattaneo. A sinistra in seconda fila il prof. Abele Dell’Orto.

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Nel pomeriggio di giovedì 24 ottobre, la prima organica relazione, che porta il titolo del Corso stesso, “Come i media cambiano la vita”, viene svolta dal prof. Giovanni Baggio, vicepresidente nazionale dell’AIART, il quale, partendo dalla constatazione che ci sono diversi punti di vista per esaminare un’opera d’arte, ed anche per valutare i media, e dall’interrogativo se l’informatica abbia rappresentato uno spartiacque [prima dell’era digitale / dopo l’era digitale], concluderà con la necessità di una seria e sana educazione all’uso dei media. Accattivante l’avvio con le immagini di due celebri quadri, “Il bacio” di Klimt e “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, accompagnate da una serie di domande riguardanti le intenzioni degli autori e le nostre interpretazioni. Convincente il gioco di parole, che i media … mediano tra la realtà e quello che noi vediamo, sentiamo, viviamo nella realtà. Interessante l’osservazione che anche nei grandi cambiamenti non viene mai cancellato del tutto il precedente. Innegabile la presa d’atto che il mondo digitale è per molte persone, e per certi versi, irriconoscibile rispetto al passato, ma che tutti siamo inevitabilmente immersi in questo mondo nuovo. Di comune dominio ormai la definizione di un mondo globalizzato, dilatato e liquido. Inevitabili le trasformazioni nelle idee, nei costumi, nel lavoro, nelle relazioni, nel tempo libero. Preoccupanti le dipendenze che possono crearsi, e che già oggi sono diffuse soprattutto fra i giovani. Fondamentale, comunque, è distinguere l’usare dal sapere e capire che l’abilità tecnica è altro rispetto al significato di ciò che si fa. Ne consegue l’esigenza di una “Media Education”, di un’educazione che ci faccia capire dove stiamo andando, che ci accompagni ad esplorare la bellezza e le sfide del mondo virtuale, che ci renda consapevoli dei guadagni e delle perdite, che ci aiuti, insomma, a comprendere “come, quanto e quando usare senza essere usati”.

La seconda relazione, svolta dal prof. Paolo Braga dell’Università Cattolica di Milano, sostituisce la parola “TV” alla parola “media”: “Come la TV cambia la vita”: analoga è la prospettiva di ombre e di luci, ma c’è un riferimento più specifico al mezzo televisivo. I concetti vengono esposti in una successione ordinata di sette punti, che corrispondono ad altrettanti effetti, prodotti dalla TV, la quale si dimostra un mezzo molto potente, con i suoi 30 milioni di spettatori per sera a confronto dei 5 milioni di quotidiani venduti. Ecco gli effetti: I effetto: la TV ci spinge a desiderare cose, promovendo conoscenze ed idee. II: la TV con gli annunci pubblicitari ci rende più consumatori, il che può indurre al consumismo, ma muove l’economia, e questo è un bene. III: la TV pedagogica ci ha resi più colti come popolo italiano, anche grazie agli sceneggiati del passato. IV: la TV rende anche più ignoranti, complice un abbassamento qualitativo, chiaramente sensibile nell’arco di 10 anni. V: la TV, da una parte, risponde in modo gratuito e senza fatica al bisogno di “familiarità”, cioè di trovare persone vicine che diano sicurezza, ed a quello di “intimità”, con tante trasmissioni che trattano di problemi privati, sentimentali, ed erotici, ma dall’altra ci ha allontanati dal cinema, dal teatro e dall’abitudine di uscire la sera. VI: La TV ha accelerato il cambiamento sociale, per lo più secondo il modo di pensare di quelle avanguardie dei pochi, che la fanno, i quali condizionano i milioni che la vedono. VII: La TV ci ha uniti, facendoci conoscere in modo uguale per tutti la storia della nostra Italia, anche se ora, con la moltiplicazione dei canali e la specializzazione su target specifici, mescola prodotti di qualità con altri più scadenti, obbligando a scelte, a cui non tutti sono preparati allo stesso modo.

Nel dibattito, in cui si sono inseriti cinque interventi diversi, si è parlato della protezione di cui hanno diritto i minori, dell’azione educativa da svolgere nelle scuole e nelle parrocchie, dell’opera meritoria dei volontari che si impegnano in questo settore, del modo in cui vengono scelti coloro che fanno televisione, e della rimozione della memoria dovuta al fatto che si privilegiano l’attualità ed il mondo giovanile. In particolare, si è sottolineato che, oltre a protestare per le trasmissioni indecorose, è importante riuscire ad intercettare chi produce televisione, e si è deplorato il fatto che il “Comitato Media e Minori”, già penalizzato dalla difficoltà di arrivare a sanzioni certe e significative, sia rimasto inattivo per più di un anno. Il presidente Borgomeo, a sua volta, ha ripercorso la vicenda che lo ha portato recentemente a dimettersi da Presidente eletto del Consiglio nazionale degli Utenti (CNU), per denunciare che l’Authority “non difende gli utenti, ma tutela le emittenti”.
Il prof. Paolo Braga

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La mattina del 26 ottobre tocca al moderatore, dott. Francesco Bellaroto, introdurre gli interventi del prof. Marcello Soprani e del dott. Domenico Infante, e la presentazione della relazione di mons. Domenico Pompili.

Il prof. Marcello Soprani, del Comitato scientifico dell’AIART, tratta il tema “Minori cybernauti e cyber bulli”, partendo dall’analisi della situazione “problematica” dei ragazzi che navigano in Internet, con riferimento ai dati emersi da un test, cui sono stati sottoposi 2327 studenti della seconda classe delle superiori, pubblicati nel settembre 2013 dall’Università Bicocca unitamente all’Università Cattolica di Milano. Il test riguardava quattro tematiche: 1) dotazioni tecnologiche; 2) uso dei nuovi media; 3) competenze digitali; 4) livelli di apprendimento (considerate anche le prove Invalsi). Alcuni flash: il principe della “rete” è Facebook (l’82% degli studenti ha un profilo, ed il 57% lo tiene acceso anche mentre studia); i ragazzi dei Licei ed i genitori istruiti hanno un profilo più chiuso rispetto agli studenti di altre scuole ed ai genitori poco istruiti; il 32,7% conosce il funzionamento di Vikipedia; il 33% si rende conto dello scopo di lucro dei siti commerciali. Da tutto l’insieme si possono dedurre tre considerazioni: i “nativi digitali” hanno bisogno di una guida per essere in grado di usare in modo responsabile e proficuo la rete; è necessario che la scuola faccia opera educativa in questo campo; una “dieta” mediatica può essere di grande giovamento.

Un problema dentro il problema è quello dei videogiochi. Apparsi per la prima volta negli anni ’50, sono aumentati a dismisura, ed ormai sono accessibili da tutte (o quasi) le borse. Secondo un dato del 2007 vi si dedicavano il 45% delle femmine ed il 55% dei maschi, ed il 40% li usava per 1-2 h. al giorno. Vi sono delle discrepanze tra gli studenti del Licei e quelli di altre scuole, e fra italiani ed immigrati, nel comprendere la natura e nel capire i rischi dei videogiochi che, in genere, i ragazzi fanno per il 40% da soli e per il 24% in compagnia di amici o compagni. Per quanto riguarda i genitori (sanno usare il PC il 23% delle madri ed il 40% dei padri), l’abilità e le competenze digitali crescono in rapporto all’istruzione. Non c’è molto dialogo tra genitori e figli circa i contenuti dei videogiochi ed il tempo da dedicare ad essi.

Considerando rete (mediamente gli studenti vi stanno 3 h. al giorno, l’88% con i social network, il 53% per informarsi) e videogiochi, in generale, ai fini della resa nello studio, è consigliabile un uso moderato, se è vero che più si è connessi e meno si studia; ma non si può neanche ignorare la rete, che fornisce molte informazioni non presenti sui libri.

Il rischio maggiore nell’uso dei media è il cyber bullismo. E’ un fenomeno variegato, che si differenzia dal bullismo tradizionale per l’assenza di violenza fisica, ma diventa più grave, perché, per effetto anche dell’anonimato del molestatore, provoca un indebolimento dei vincoli etici, come se fosse permessa ogni libertà. Non va trascurato inoltre il fatto che, per l’assenza di limiti spazio-temporali, ciò che è in rete può essere visto per parecchi anni, e dovunque, con conseguenze imprevedibili. Nel cyber bullismo ci si accanisce facilmente contro il “diverso” (per sesso, pelle, abiti) e contro i “deboli”, e gli spettatori sono più o meno neutrali nell’approvare o contrastare il fenomeno, che può provocare gravi conseguenze psicologiche alle vittime, perché perdono l’autostima, incontrano maggiori difficoltà nella scuola e arrivano talora all’idea del suicidio.

Internet e Videogiochi sono volutamente costruiti per catturare l’attenzione e l’uso, ma questo può determinare il grave fenomeno della dipendenza. Può sembrare assurdo che un ragazzo dedichi la maggior parte del suo tempo ad Internet e ai videogiochi, e non riesca più a farne a meno, disinteressandosi di tante altre cose più importanti, ma può succedere ed è già successo, come dimostrano i recenti episodi di un ricovero ospedaliero a Monza o di un arresto per rapina a Brindisi.

Che fare? Non bisogna stancarsi di far riflettere i ragazzi, per modificare almeno, se non si riesce ad eliminarle, le cattive abitudini. E’ comprensibile che i ragazzi siano attratti dalla rete e desiderino sempre finire un gioco iniziato ed avviarne un altro con qualcosa di stimolante in più, e sappiamo benissimo che ci scontriamo anche con il business del digitale, dei videogiochi (e dei giochi d’azzardo), ma la sfida dell’educazione non può arrendersi…

Il prof. Marcello Soprani e il dott. Francesco Bellaroto

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MINORI CYBERNAUTI Relazione Prof Marcello Soprani – Pavia 25-10-2013.pdf

Il dott. Domenico Infante, segretario del Comitato di Presidenza e curatore del sito AIART, all’inizio della sua relazione dal titolo “I nativi digitali nella società che cambia” distingue i nativi digitali puri (nati dopo il 2000) dai nativi digitali spuri (nati tra il 1987 e il 1994) e dai Millenials (nati fra il 1994 ed il 2000). Secondo lo psichiatra Andreoli, tutti costoro sono “uomini nuovi in ambienti nuovi”, senza però modificazioni genetiche di rilievo. Essi sono reattivi, propositivi, perfino presuntuosi, e sembrano più maturi della loro età, ma non lo sono; si sentono intelligenti, sofisticati, capaci, ma non hanno la preparazione e le competenze per capire il significato e il valore del mondo virtuale in cui si muovono.

Il loro impatto con i media è travolgente, come si ricava anche dai risultati di un test fatto in Puglia, di cui ci bastano questi pochi dati: il 95% degli adolescenti tra i 12 ed i 15 anni usano Internet quotidianamente, e il 13% di essi per più di 4 ore al giorno; il 60% circa dei bambini che hanno meno di 12 anni dispone di uno smartphone. Come conseguenza inevitabile, cambia profondamente il modo dei giovani di relazionarsi. Internet, ed in particolare Facebook, è per loro una piazza, per incontrarsi e costruire “vetrine”, in cui esporre sé stessi e la propria vita.
E’ significativo il seguente confronto tra il loro tempo libero di ieri e di oggi: da molto è diventato poco; dall’aperto si è trasferito in casa, o peggio, in camera; dai giochi è passato ai dispositivi digitali; si trovavano con i coetanei, ora stanno più da soli; c’era una continua interazione concreta, ora prevalgono spesso azioni virtuali. I giovani d’oggi vivono molto di immediatezza, cercando emozioni sempre più forti, che non producono quei sentimenti profondi che vengono dal cuore.

Leggono poco e male, “saltellando” qua e là, e da ciò deriva una formazione frammentaria e superficiale, in cui manca il senso dell’unitarietà e della continuità.

Eco dove e come i nativi digitali si trovano a loro agio: Il 79% si dedica ai social network; il 30% chatta; il 70% usa streaming; il 50% fa giochi di ruolo e d’azzardo; il 54% scarica foto e film: dove li mettiamo il gioco all’aperto, le belle chiacchierate, e le serate nei cortili o al cinema o all’oratorio?

Non c’è da stupirsi che i nativi digitali corrano molti rischi. Essi non hanno lunghi tempi di attenzione e sono insicuri. Sono esposti ad una massiccia violenza virtuale (nel videogioco “Killer” ci sono 900 sagome da uccidere in tre minuti), che facilmente si interiorizza e può diventare violenza concreta. Altri rischi sono costituiti dalla pornografia on line, dal gioco d’azzardo (in verità, intacca soprattutto gli adulti), e – cosa apparentemente banale, ma importantissima – dal navigare inutilmente.

Ci sono dei rimedi? Non esiste un rimedio unico né una ricetta sicura, ma alcune scelte vanno fatte e praticate: l’educazione, innanzitutto, in casa, a scuola, in parrocchia…, la cura dell’intelligenza e della volontà, la ricerca della consapevolezza, l’esercizio del dialogo, la trasmissione di valori e di ideali, e infine – non ultimo per importanza – un sano, periodico digiuno dai media.

Il dott. Domenico Infante e il dott. Francesco Bellaroto

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Ora sarebbe il momento della lezione magistrale di mons. Domenico Pompili, vice segretario generale della CEI e Direttore dell’Ufficio Nazionale delle Comunicazioni Sociali, il quale però è stato trattenuto a Roma da un improvviso impegno prioritario, ma ha trasmesso l’intera relazione, già scritta dalla prima all’ultima parola, dal titolo “Vivere nel mondo dei media testimoniando la Parola”. Ne dà lettura, scandendola con passione, il presidente Borgomeo, e l’effetto rimane quello di ascoltare una “summa” dei problemi della comunicazione con un taglio genuinamente cristiano. Il percorso della lezione, una volta assodato che il mondo “misto” d’oggi è fatto di materiale e di digitale, di atomi e di bit, è costituito da 4 momenti.

1) Rigenerare i concetti: la comunicazione non è prima di tutto trasmissione/enunciazione.
Due sono le parole chiave: incontro e silenzio.
L’incontro. Nell’era televisiva si emettevano messaggi, si trasmettevano contenuti, si diceva qualcosa a qualcuno; oggi, nell’era digitale, comunicare è ridurre le distanze, allargare lo spazio comune, donare qualcosa di sé agli altri, evangelicamente “farsi prossimo”. Come ci insegna con la sua catechesi non verbale papa Francesco, il primo messaggio è: “Io sono con te”.
Il silenzio. E’ una delle condizioni perché il “miracolo” della comunicazione si compia, è “uno spazio di ascolto reciproco” (Benedetto XVI). Il silenzio non è un vuoto, ma è attesa e disponibilità a ricevere, e ci aiuta a recuperare la profondità di parole e gesti che comunicano la verità che li ispira. Si può concordare con Baudelaire, quando diceva: “Chi non sa popolare la propria solitudine, nemmeno sa essere solo in mezzo alla folla affaccendata.”

2) La fatica e l’importanza del narrare nell’era dell’informazione.
L’arte di narrare è al tramonto, incalzata dalla velocità di una informazione frammentata che diventa obsoleta nell’arco di un giorno. Eppure la narrazione è una “palestra etica”, che ci obbliga a discernere tra cosa è importante e cosa no, a prendere posizione su cosa è bene e cosa è male. Essa è “polifonica”, perché intreccia le voci e le vicende di tanti, e “policronica”, perché abbraccia passato, presente e futuro, vite individuali e storia collettiva.
La Chiesa si sa raccontare? Forse il processo di secolarizzazione ha luogo nella misura in cui la Chiesa non è capace di reagire né all’emergere di altre culture e di altri linguaggi, né di valorizzare appieno la propria ricchissima tradizione comunicativa. Il nuovo “contesto esistenziale” della rete è uno dei luoghi in cui la Chiesa può riprendere oggi il filo della narrazione, per riportarsi al centro del “villaggio globale”. E dovrebbero essere i cristiani a ricondurre, anche come testimoni digitali, la “conversazione” tra la Chiesa e la cultura entro i confini di un dialogo esigente e paziente. Tre, però, sono le condizioni: a) avere un’idea del mondo come luogo di ascolto e di incontro, dove sviluppare l’originalità della nostra fede; b) avere una conoscenza del mondo con la testimonianza e l’esperienza; c) avere la dimensione dell’ospitalità, così da farci ospitare dai lontani, per potere, a nostra volta, fare della cultura attuale la dimora del Vangelo di Gesù Cristo.

3) Come leggere i segni dei tempi: cogliere la logica dell’era digitale.
Saper leggere i segni dei tempi per parlare il linguaggio comprensibile ad ogni generazione, non significa cercare di competere con i nativi digitali, ma cercare di familiarizzare almeno un poco con i nuovi ambienti, e soprattutto di capire la logica della rete. La “verità” della tecnologia è antropologica: essa ci parla delle meraviglie dell’ingegno umano, fatto a immagine del suo Creatore. Inoltre la comunicazione in rete è prima di tutto incontro e scambio: “esserci” e “condividere” e “vedere insieme”.

I nuovi media ci insegnano che il sapere è sempre più collaborativo ed aggiornabile attraverso una collaborazione partecipata. L’apprendimento è un circuito di scambio e di partecipazione, una modalità “generativa”, che può diventare “coeducazione nella reciprocità”: i giovani possiedono la competenza sui linguaggi, gli adulti possono fornire criteri di orientamento nella complessità, con esperienze, testimonianze, narrazioni. Diventa possibile scambiarsi doni, compreso il dono di sé, con la speranza di ricevere luce anche dall’altro.

4) La convergenza rete/fede sulla scia dei papi Benedetto XVI e Francesco.
Abitare il web lasciando aperte le porte. La rete oggi è un’estensione del mondo, che ci rende più vicini. Papa Francesco nel primo Angelus ha detto: “E’ bello incontrarci e salutarci in una piazza che, grazie ai media, ha la dimensione del mondo”. Papa Benedetto XVI ci ha offerto l’immagine della “porta”. I social network sono porte di verità, ci dicono qualcosa dei bisogni autentici: incontro, relazione, vicinanza, condivisione, comunione. Anzi, possono diventare luoghi attraverso i quali si prosegue il cammino dell’evangelizzazione. Noi siamo gli stessi on-line ed off-line: gli spazi sono diversi, ma la vita è una sola, e perciò le porte si devono lasciare aperte non solo verso il “fuori”, ma anche verso “l’alto”.

Non c’è incompatibilità tra i nuovi linguaggi ed il messaggio, senza tempo e per tutti i tempi, della Chiesa. Anche il concetto di autorità può essere opportunamente ripensato, e chiarito come autorevolezza credibile. Oggi la Chiesa può pronunciare la sua parola autorevole sull’uomo nel nuovo contesto, può “bucare” la bidimensionalità del web con la verticalità dell’amore che salva. La vera sfida è oggi quella della trascendenza: essere nel web, ma non del web. E’ la luce della fede che illumina anche il web, svelandone le potenzialità umanizzanti.

Lasciarsi abitare, per diventare contagiosi: la testimonianza. Ecco le tre condizioni per poter vivere una presenza piena, relazioni autentiche e un cammino di fede. 1) lasciarsi abitare per poter abitare. E’ la cosiddetta “buona passività”, che consiste nell’ascoltare, nel coltivare il giusto silenzio, nella disponibilità ad accogliere, nel fare spazio all’altro, e alla Parola, che è via, verità e vita. 2) mettersi in gioco per poter educare. Il Vangelo non è solo comunicazione di cose, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. 3) testimoniare per essere contagiosi. E’ lo stile di papa Francesco: non dire ciò che andrebbe fatto, ma indicare la via praticandola.

Non si deve aver paura della relazione, anche con chi la pensa diversamente: è il primo passo di quell’accoglienza, senza la quale non può esserci dialogo e nemmeno educazione. L’educatore si distingue per l’autorevolezza, e la sua credibilità è legata al fatto che viene percepito come un testimone. “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni” (Paolo VI). Il testimone è credibile quando riesce a trasmettere il fatto che la verità lo ha toccato e, insieme, il desiderio di fare dono agli altri di questa esperienza. Il modello, il medium per eccellenza, è sempre Gesù, con il suo modo di rivolgersi all’altro. Dobbiamo imparare ad imitarlo, anche nell’era digitale, senza essere paralizzati dalla paura di non capire il nuovo, perché “Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta” (“Lumen Fidei, 1).

Mons. Domenico Pompili – Vivere nel mondo dei media testimoniando la Parola.docx Mons. Domenico Pompili – Vivere nel mondo dei media testimoniando la Parola.docx

Nel pomeriggio di Venerdì 25 ottobre, finalmente l’attesa tavola rotonda sul modo di comunicare di Papa Francesco. Un pomeriggio indimenticabile.

Dopo l’introduzione del presidente Borgomeo, che funge da moderatore, prende la parola mons. Dario Viganò, assistente spirituale dell’AIART, ma presente come responsabile del Centro di produzione televisiva vaticana (CTV), insomma, la persona più adatta ad illustrare l’argomento. La sua relazione, relativamente breve e semplice, proprio come lo stile del Papa (che lo chiama familiarmente Dario) è fatta con il cuore e con la passione di chi vuole rendere partecipi gli altri della sua esperienza diretta a contatto con papa Francesco. Quanti particolari inediti e illuminanti!

E’ volontà del Papa non trasmettere la S. Messa mattutina celebrata in S. Marta; non è opportuno, infatti, che tutto quello che il Papa fa e dice venga ripreso, anche perché bisogna salvaguardare le persone che lo incontrano. Papa Francesco è un uomo che vive di incontri, ne parla volentieri, ed è disposto ad accogliere tutti, senza escludere nessuno, qualunque sia la sua provenienza, la sua religione, la sua idea politica…, ma privilegiando i deboli e i sofferenti. In tale senso va intesa la frase da lui detta “Chi sono io per giudicare un omosessuale?”.

Come Direttore del CTV, don Dario (come lo chiamiamo noi dell’AIART) ha scelto, tra l’altro, di ricostruire il punto di vista del Papa rispetto alla gente in Piazza S. Pietro, ponendo una telecamera dietro il Papa, in modo da ottenere l’effetto di un incontro con la folla ma anche con i singoli, che Egli sembra guardare e salutare ad uno ad uno. Anzi, per le prossime canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, sarà impiegata una triplice regia.

In un secondo breve intervento Mons. Viganò puntualizza che la gente andava in piazza San Pietro per “vedere” Giovanni Paolo II, per “ascoltare” Benedetto XVI, ed ora va per “incontrare” papa Francesco. Racconta infine, commosso, quello a cui ha partecipato dopo l’elezione di papa Francesco, prima che si affacciasse alla Loggia di Piazza San Pietro. Il Papa, che era accompagnato da due cardinali, è entrato, guardando a terra, nella Cappella Paolina, si è seduto nell’ultima panca raccogliendosi a pregare, quasi rapito; quando si è alzato era un’altra persona, sorridente. La preghiera serve a custodirlo nella sua straordinaria relazione con Dio.

Il consulente ecclesiastico nazionale dell’Aiart e direttore del Centro di produzione televisiva vaticana (CTV) mons. Dario Viganò e il dott. Francesco Ognibene, caporedattore di “Avvenire”.


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Segue la relazione del Direttore di Rai Vaticano, dott. Massimo Milone, che ha preso servizio in quel ruolo in febbraio, proprio in coincidenza con la rinuncia di Benedetto XVI. Papa Francesco ha sorpreso tutti con quel “Buona sera” iniziale pronunciato dalla loggia di San Pietro, ed ha sconvolto il modo di comunicare. Ha riconosciuto subito, nel primo incontro con i giornalisti, il valore ed il ruolo dei media e la loro grande responsabilità, precisando che i comunicatori debbono prepararsi per essere in grado di comunicare bellezza, bontà e verità. Da parte sua, caratterizza le sue omelie e i suoi discorsi, chiarissimi e sintetici, con la linearità e la semplicità del racconto. La sua è una comunicazione diretta, ed il linguaggio che usa è quello della misericordia, della testimonianza, dell’andare incontro. Il dialogo con il giornalista Scalfari non è solo con lui, ma con tutti quelli che, come lui, sono alla ricerca e si interrogano sul senso della vita. La sua strategia comunicativa è modernissima, e aiuta la chiesa a farsi parola, messaggio, colloquio. Allo stesso modo dovrebbero comportarsi i Cristiani: essere testimoni credibili, così che con la vita e la parola sappiano divulgare il Vangelo.

Il Direttore di Rai Vaticano, dott. Massimo Milone

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Quando la parola passa al dottor Marco Politi, giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, si avverte che alle spalle c’è un’esperienza di vaticanista. I confronti tra i diversi papi sono argomentati e puntuali. Giovanni Paolo II aveva una comunicativa naturale, poi divenuta strategia, con la sponda del portavoce, Navarro Valls, che prediligeva la TV americana rispetto ai giornali occidentali. Benedetto XVI, pensatore e predicatore, aveva scarso interesse per la comunicazione mediatica. Papa Francesco ha una spontaneità immediata, che diventa un modo di intrecciare relazioni e di guardare avanti. La svolta forte da lui impressa si basa sull’anteporre e considerare più importante il rapporto con l’altro rispetto alla trasmissione del messaggio. E’ cambiato lo stile degli incontri e delle interviste, e l’uso di telefonate e di lettere è diventato una costante. Quella di Papa Francesco è anche una comunicazione fisica: abbracci, strette di mano, dialogo con i fedeli. Papa Francesco sembra un discepolo diretto degli Apostoli: entra sempre in contatto con la quotidianità degli uomini. Se Pietro e gli Apostoli devono governare insieme, ecco che il Papa sceglie 8 cardinali come collaboratori. Anche le donne vanno meglio valorizzate, tanto da ricoprire ruoli alti. La sua attenzione a tutti nella loro umanità, fa sì che anche i non credenti e gli agnostici prestino attenzione ai suoi gesti, alle sue parole e ai suoi atti.

Il dottor Marco Politi, giornalista de “Il Fatto Quotidiano”e Il Direttore di Rai Vaticano, dott. Massimo Milone.

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Nell’ultimo intervento della giornata, il dott. Francesco Ognibene, caporedattore di “Avvenire”, riprende spunti già avviati, e li carica ulteriormente di una visuale interpretativa attenta alla dimensione spirituale e cristiana. I giornalisti non erano abituati al ritmo di papa Francesco: ne sono rimasti sorpresi, ma si sono anche, per così dire, entusiasmati, e si appassionano ad inseguire il Papa, il quale peraltro, nonostante la bonomia, non fa sconti sulla sostanza della vita cristiana. Le sue omelie e i suoi discorsi, spesso a braccio, ma non per questo meno meditati, propongono una grande concretezza d’azione e di pratica di vita.

Ma chi è il Papa? E’ una persona fuori dal comune, anche se non ha nulla di appariscente; bisogna seguirlo ed ascoltarlo, cercando di spogliarsi – come ha detto Lui – della “mondanità spirituale” molto diffusa. I giornalisti hanno il dovere di interpretarlo bene e di riferirlo fedelmente; occorre avere l’umiltà di non sovrapporsi, ma di seguire il Papa, che sta costruendo la strada. Come andrà a finire? Non è lì il problema principale, l’importante è camminare.
E cosa deve fare la Chiesa, secondo il Papa? La Chiesa non è un negozio, né un’agenzia umanitaria, ma essa deve portare Gesù, proprio come ha fatto Maria, ed avere la grazia della vergogna. Facciamoci l’esame di coscienza, soprattutto i giovani, e per aiutare i giovani; essi hanno un radicale pessimismo riguardo a sé stessi, ma Gesù è un “infermiere” che cura personalmente le ferite di ognuno di noi.

Il dibattito si sofferma su alcuni aspetti specifici: l’importanza di capire lo stile personale, ben strutturato spiritualmente, di papa Francesco; le ambiguità del caso Priebke; il dubbio che l’entusiasmo attuale si attenui quando il Papa si pronuncerà su temi etici; la constatazione che il piglio del governante non è uguale per tutti i Papi. Dulcis in fundo, la preghiera ad hoc del cardinal Martini: “Fa’, o Signore, che le antenne e i campanili sappiano dialogare tra loro, donaci persone capaci di unire nella loro vita l’antenna e il campanile, in grado di coniugare le due fedeltà con professionalità ed amore”.

La giornata avrà un finale delizioso, con il concerto serale nella basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro (chiesa romanica che custodisce l’urna di S. Agostino e, nella cripta, il sarcofago di Severino Boezio), dove il quintetto di trombe dei “Five Brass” eseguirà brani di autori minori del ’600 e del ’700, di Mozart e di Haendel, nonché la “marcia trionfale” dell’“Aida” di Verdi.

Il consulente ecclesiastico nazionale dell’Aiart e direttore del Centro di produzione televisiva vaticana (CTV) mons. Dario Viganò e il dott. Francesco Ognibene, caporedattore di “Avvenire”.

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Sabato 26 ottobre, dopo la S. Messa, celebrata dal vescovo di Pavia, mons. Giovanni Giudici, inizia il convegno su “Bioetica e Media”: tre ore intense, senza interruzione, con relazioni, valutazioni ed approfondimenti di notevole spessore e interesse. “Bioetica e Media” sono l’argomento ed il titolo di una ricerca commissionata dal Comitato di presidenza dell’AIART al prof. Stefano Colloca, aggregato di Etica della Comunicazione presso l’Università di Pavia.
Moderatore del Convegno è il prof. Giampaolo Azzoni, ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università di Pavia.

E’ lo stesso prof. Stefano Colloca ad illustrare il progetto, pur rimandando, per i particolari, al testo che è stato pubblicato. Il professore precisa subito che ha scelto, per vedere come trattano la Bioetica, soltanto i programmi televisivi di informazione (non, ad es., le fiction), e quelle trasmissioni di intrattenimento, in cui sono presenti anche personaggi noti che esprimono il loro parere o narrano le loro esperienze.

Per non creare confusioni, vanno distinti il campo fattuale (le questioni scientifiche) e la dimensione assiologica (le questioni morali, giuridiche, religiose, politiche). Il giornalista che va alla ricerca della notizia di bioetica, non deve essere per forza uno scienziato, anzi è meglio che non lo sia, ma è necessario che conosca il metodo usato per formulare una teoria scientifica, e che sia consapevole dei problemi epistemologici.

Il giornalista scientifico prima accerta i fatti e poi li valuta, tenendo la dovuta equidistanza tra verità scientifica (e anche storica), e teorie “complottiste”, che non siano sostenute da prove, e rimangano quindi improbabili. Tali, ad esempio, sono state alcune teorie che si diffusero dopo l’11 settembre 2001, oppure, in Italia, il metodo Di Bella (1997) e, recentemente, il metodo “Stamina” (2013). Altro è Textbook science, cioè le teorie giudicate scientifiche da anni e non falsificate da prove, e altro Frontier science, cioè le ipotesi di laboratorio. E ancora, non sono da confondere equilibrio ed equidistanza.

Sui giornali, e nei telegiornali, ci sono talvolta titolo entusiasti, che non rispecchiano però il contenuto degli articoli e dei servizi, ingannando chi, magari ammalato, leggendoli, o ascoltandoli, si illude. L’informazione scientifica può essere un argine al potere, ma può diventare un potere essa stessa; deve essere indipendente, ma deve anche autocontrollarsi. Indipendenza, inoltre, non deve voler dire neutralità: il giornalista scientifico deve saper prendere posizione. Una competizione (da “cum petere” = cercare insieme) delle varie posizioni giornalistiche è da favorire. Va sempre rispettata, poi, la dimensione assiologica, anche quando si va alla ricerca della specificità di un caso o si fanno sondaggi e rilevazioni demoscopiche.

Una griglia di analisi, utile per indagini che descrivano come il giornalismo tratta la bioetica (ma anche altre materie) può contenere diverse possibili combinazioni tra i seguenti cinque elementi: presenza (o assenza) 1) del racconto dei fatti; 2) del racconto delle principali opzioni assiologiche (valoriali); 3) di soltanto una o alcune delle principali opzioni assiologiche; 4) di una presa di posizione riconoscibile; 5) di una presa di posizione non riconoscibile. La regola d’oro della notizia di bioetica è proprio il dire (o rendere riconoscibile) ciò che si sta facendo.

Interviene il prof. Giampaolo Azzoni, moderatore del Convegno, che sottolinea come anche l’approccio scientifico più corretto possa correre il pericolo di sottostare all’imperativo della tecnica, come se tutto ciò che è possibile fosse un bene per l’uomo. La bioetica comincia quando c’è una riflessione critica, quando, ad esempio, sui valuta se l’eutanasia possa, o no, essere un bene per l’uomo. Nei media si riscontra spesso una forte contrapposizione fra la bioetica laica e la bioetica cattolica. In realtà, se le argomentazioni sono di ordine razionale, e non ideologico, su molte questioni c’è una significativa ed ampia convergenza.

Interessante l’intervento della professoressa Marianna Gensabella, docente di Deontologia dell’informazione presso l’Università di Messina, membro del Comitato nazionale di Bioetica, e dirigente dell’associazione “Scienza e Vita”. “Bioetica e media” è un tema nuovo, nel quale si intrecciano la rivoluzione dei media, che sono nelle mani di tutti, e le problematiche impreviste ed imprevedibili per il futuro che interessano all’etica.Il primo compito deontologico dei media è informare bene, perché gli uomini possano scegliere.

Alcune ricerche, invece, sono inutili, perché sono fatte per conto di chi ha degli interessi, come possono essere, ad esempio, quelli delle industrie farmaceutiche. La luce del sospetto (la verifica delle fonti), che è tipica dello scienziato, deve essere usata anche dagli informatori. La correttezza del dato scientifico, poi, rende più autorevole il giudizio morale. Il giornalista ha il dovere di formarsi un’idea per poter scegliere, o almeno rendere conto delle diverse opzioni, senza però confondere tutto.

Quanto alla bioetica ambientale, non ci sono grandi conflitti di idee, ma c’è una grande urgenza di prendere i provvedimenti necessari.

Per quanto riguarda gli uomini, le storie individuali di grande sofferenza tengono campo facilmente, ma bisogna stare attenti a non cadere in una sorta di individualismo, che non tenga più conto dei principi e dei valori.
La Bioetica chiama in causa la nostra coscienza: non si può dare indiscriminatamente potere ad una scienza e ad una tecnica, le cui conseguenze ricadranno sulle generazioni future. Vi sono anche delle questioni di bioetica quotidiana e sociale, come quelle dei soggetti deboli che chiedono di essere aiutati a “vivere” nelle loro case: sono campi in cui sono chiamate in causa la responsabilità della politica e la solidarietà di ciascuno di noi.

Tocca poi al dott. Stefano Mosti, presidente dell’Osservatorio di Pavia (l’unico in Italia) sulla comunicazione radiotelevisiva, presentare i risultati di un recente monitoraggio su sette telegiornali italiani di prima serata. La politica mantiene sempre il primo posto, passando anzi, rispetto al 2012, dal 20% al 30%. Seguono economia e lavoro (13%), cultura e spettacolo (10%), criminalità (10%); per citarne altre, la cronaca di incidenti è al 7,5%, la politica estera al 4,4%, mentre la salute si ferma all’1,5% . Nell’ambito della salute, le voci dei rischi, delle patologie, e anche della salute dei Vip, precedono la bioetica. Riguardo a questa, ultimamente hanno fatto la parte del leone le cellule staminali, ma spesso sono i casi umani ad aver risalto; quanto alle emittenti, stranamente “La7” non ha nessuna notizia di bioetica. Il dott. Mosti non manca di sottolineare altre tendenze: la narrazione di tipo emotivo, la personalizzazione delle vicende, i malati che diventano simboli, gli appelli al pathos, il ricorso ai testimonial, oltre alla semplificazione delle notizie.

Nell’ultimo intervento del Convegno la dott.ssa Rossella Sobrero, esperta di comunicazione ambientale, e presidente di un’associazione, Koinetica, che si occupa di etica e media, si concentra su tre parole. Superficialità: si sta abbassando il livello critico, anche perché le redazioni dei giornali sono ridotte all’osso. La civiltà dell’immagine ci fa accumulare frammenti a discapito dell’unitarietà dei problemi. Per opporci alla superficialità, dovremmo “arrabbiarci” e agire. Cambiamento: è sotto gli occhi di tutti che con il web cambia il modo di fare e di ricevere comunicazione, e che le innovazioni tecnologiche aumentano il gap tra i “poveri” culturalmente e chi ha accesso a tutti i media. Quanto all’Auditel, di cui si è molto scontenti, la dottoressa, rispondendo ad una domanda, proclamerà, tra gli applausi : “l’Auditel morirà”. Responsabilità: una maggiore responsabilità dovrebbe essere sentita dai giornalisti e dai pubblicitari, evitando campagne subdole e disoneste a vantaggio, ad esempio, di un certo prodotto farmaceutico. Si gioca troppo sulle emozioni per raccogliere fondi. Ma c’è soprattutto una responsabilità individuale: ciascuno è chiamato alla solidarietà, all’ascolto, alla collaborazione.

Nel corso del dibattito si ribadisce, tra l’altro, che anche la scienza fatta bene non risolve i problemi etici, e che quindi c’è da fare per tutti, ma è giunto il momento di concludere i lavori delle tre giornate di Pavia. Il presidente Luca Borgomeo ringrazia tutti, commosso, e…arrivederci al prossimo Corso dell’AIART.

Mosti – Bioteca e Media Mosti – Bioteca e Media

Il prof. Stefano Colloca, la professoressa Marianna Gensabella, il prof. Giampaolo Azzoni, il presidente Luca Borgomeo e la dott.ssa Rossella Sobrero.

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Bibliografia essenziale (alcuni testi suggeriti durante il Corso)

“Inter mirifica”: documento conciliare sulla comunicazione sociale, 4 dicembre 1963
Card. Carlo Maria Martini, “Il lembo del mantello”, Lettera pastorale 1991-2
Serena Dinelli, “La macchina degli affetti”, Franco Angeli, 1999
Walter Benjamin, “Angelus Novus”, Einaudi, 2006
Norman Doidge, “Il cervello infinito”, Ponte alle grazie, 2007
Cristoph Theobald, “Trasmettere un Vangelo di libertà”, EDB, 2010
Jonah Lynch, “Il profumo dei limoni”, Lindau, 2011
Chiara Giaccardi (a cura di), “Abitanti della rete”, Vita e Pensiero 2011
Nicholas Carr, “Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro cervello”, Cortina Raffaello, 2011
Antonio Spadaro, Cyberteologia”, Vita e Pensiero, 2012
Charles Duhigg, “La dittatura delle abitudini”, Corbaccio, 2012
Giovanni Baggio, “Dal papiro al silicio. Percorsi e ambiti della Media Education”, Paoline, 2012
Valentina Furlanetto, “L’industria della carità”, Chiarelettere, 2013
Stefano Colloca (una ricerca a cura di), “Bioetica e Media”, AIART, 2013