Tutto ok a distanza?

Da la Vita del Popolo.
(Settimanale d’informazione e di approfondimento della diocesi di Treviso)
Di Francesca Barzi

Dad: una sigla per addetti ai lavori fino a due mesi fa, ma ormai entrata nell’uso comune, per lo meno nelle famiglie in cui ci sono figli che vanno a scuola. Dad sta per didattica a distanza e indica l’uso delle nuove tecnologie, che permettono di continuare a garantire le lezioni scolastiche, nonostante l’isolamento. A due mesi dalla sua attivazione, proviamo a riflettere sullo stato delle cose con Sandra Costa, insegnante di scuola primaria e vicepresidente nazionale dell’Associazione Cittadini Mediali (Aiart).

Questa emergenza ha chiesto di mettere in atto azioni nuove e diverse da parte di docenti, studenti e genitori. Complessivamente c’è stato un generale senso di responsabilità, anche se il punto di criticità riscontrato ha riguardato l’assegnazione dei compiti.
Il nocciolo della questione sta nel fatto che l’attenzione, da parte dei docenti, va posta non tanto nella quantità, ma nella qualità. Qualità vuol dire che l’insegnante seleziona contenuti essenziali e ben strutturati, così da permettere il più possibile al bambino di gestire i compiti in modo prevalentemente autonomo. Qualità significa anche dare feedback continui ai lavori che gli alunni inviano, con valutazioni che evidenziano aspetti positivi e aspetti da migliorare.

Come dovrebbero essere queste risorse preparate o reperite dal docente?
Dovrebbero essere pensate come proposte che stimolano curiosità, interesse, pensiero creativo. In tal senso, l’insegnante è come un regista, perché è colui che ricerca e predispone percorsi significativi. Ciò significa un progettare finalizzato a sollecitare nei bambini ragionamenti, che preparano a rispondere creativamente ai problemi.

Parlando di qualità del-D l’intervento didattico, questo non vuol anche dire capacità nel coordinarsi tra docenti?
Certamente: gli interventi hanno maggior incisività se condotti attraverso un costante confronto, non individualmente e in ordine sparso. Non è pensabile una Dad declinata nel trasferire online la frontalità dell’aula, nello scegliere presentazioni senza curarsi del modo di attrarre e di accendere l’interesse, nell’assegnare compiti con download di pdf da stampare. Non rientra neppure un eccesso di presenza del docente: il vero protagonista nel processo di insegnamento e apprendimento è lo studente. Inoltre, per bambini nella fascia di età della scuola dell’infanzia e primaria, non è pensabile chiedere tempi attentivi davanti a uno schermo che non si possono avere neppure in presenza. Pure un eccesso di invasione di campo, in termini di ore e di orari, da parte della scuola nell’ambito familiare con genitori spesso impegnati nello smart working, è una questione su cui riflettere. Infine, si deve tener conto delle strumentazioni e dei collegamenti a Internet, prendendo atto che ci sono differenze nel territorio e tra famiglie. Il divario digitale ha precluso il poter raggiungere tutti, ma la scuola, anche a distanza, deve garantire il “nessuno escluso”.

Quale sfida hanno dovuto affrontare i genitori con la Dad?
Per molti genitori, in questi ultimi due mesi, la relazione con i figli e, tra loro, il digitale, ha rappresentato un banco di prova, un laboratorio esistenziale che può diventare un’opportunità, speriamo unica, per sperimentare un diverso modo di stare e sostare con i figli. Si è dovuta rimodulare la relazione su un impegno comune, condividere interessi di apprendimento e mostrarsi attratti e curiosi verso le attività che i propri figli devono svolgere.

Quale pensa sia un errore da evitare?
Nell’affrontare i compiti, va evitato il messaggio pericoloso che passa indirettamente sul farsi scivolare l’espressione: “Facciamo tutto subito così ci liberiamo”. Penso sia utile scegliere di pianificare, organizzare i tempi, accompagnare per poi far valutare al bambino l’esito del suo lavoro, dimostrare apprezzamento per i risultati, interpellare le insegnanti se insorgono particolari difficoltà. Qui entra in scena anche la “valutazione” del bambino sul genitore. Davanti agli occhi dei propri figli, papà e mamma sono ogni giorno misurati nella pazienza, nell’interesse e nella curiosità verso il loro mondo, nel saper vestire il ruolo di facilitatori rispetto alle loro difficoltà, nel dimostrare essi per primi resilienza di fronte alla fatica, nel saper ridere insieme di fronte a uno strafalcione per poi insieme rimediare. E su questo si andrà a costruire e a rafforzare la relazione, da cui si genera la visione positiva o negativa verso l’apprendimento da parte dei figli, che condizionerà il loro personale successo formativo. Un altro aspetto a cui eravamo tutti impreparati è stato il fattore tempo.

Un presente di chiusura in casa, dove sopravvive chi sa organizzare i ritmi giornalieri e non si lascia andare, un domani che appare incerto e può mandare in ansia. Cosa pensa del tempo che il bambino o alunno sta trascorrendo a casa?
Questo tempo di quotidianità “sospesa” richiede una gestione diversa e autonoma rispetto al tempo scuola. Si può decidere di lavorare su compiti assegnati nel momento della giornata che meglio si concilia con gli impegni di tutti i componenti della famiglia. E questo partendo anche dall’assunto che, per un bambino, l’apprendere inizia da quando apre gli occhi al mattino a quando si addormenta la sera. Va solo accompagnato a essere consapevole di questa condizione privilegiata: è l’età della curiosità, della scoperta, della meraviglia verso il mondo che va colta e alimentata dimostrando presenza e complicità, anche collocando le sue osservazioni ingenue dentro un quadro più ampio di conoscenza. Per fare un esempio, se lavando le mani ama osservare e scoppiare le bollicine piccole e grandi che si formano, si può invitarlo a interrogare Google per scoprire i fenomeni a esse collegati.

Possiamo dire che è il contesto che determina l’apprendimento?
Sì, è così. Il bambino impara osservando il papà o la mamma alle prese con un problema pratico della spesa o della preparazione di una pietanza; impara l’importanza del lavoro di gruppo dall’osservare la fila di formiche che trasportano una briciola di pane; impara divertendosi fruendo di un buon programma televisivo; impara a immaginare e progettare immerso in un tempo vuoto, perso. E in questa continua attività di apprendimento si inseriscono anche le proposte didattiche. La condizione che si è creata è senza dubbio limitante, ma ha pure costretto a conoscerci meglio su come siamo, su come  funzioniamo, su come reagiamo alle difficoltà e all’incertezza del presente.

Questa è una consapevolezza auspicata, però non nasce in modo spontaneo. Alle famiglie è stato chiesto un sacrificio grandissimo: pensiamo, per esempio, a chi ha perso il lavoro, a chi vede un futuro incerto. Ci sono bambini che si sono trovati dentro un contesto drammatico e questo clima l’hanno respirato. Che ruolo ha l’insegnante che quotidianamente entra in contatto con la famiglia?
In questo periodo siamo stati chiamati ad adempire al  dovere di solidarietà sociale (articolo 2 della Costituzione): lo abbiamo esercitato rimanendo in casa,  rispettando le regole. I bambini ne hanno imparato l’importanza perché erano regole comuni a tutti. Ora, come docenti, è una solidarietà che deve continuare nel farsi accanto alle situazioni concrete delle famiglie dei nostri alunni in termini di disponibilità all’ascolto dei bisogni che emergono e di proposte didattiche ancor più “sostenibili”, che tengano conto che molti genitori riprenderanno il lavoro fuori casa. Tutto questo sullo sfondo della condizione comune di esserci scoperti tutti fragili e tutti vulnerabili, che deve portarci ad attivare in ogni famiglia, compresa quella dell’insegnante, la convinzione che proprio la famiglia  e la relazione scuola famiglia è risorsa, prima ancora che problema. Coltivare insieme speranza, resilienza e solidarietà, riconoscendo che sono le tre leve per superare questo grave momento di difficoltà. L’impegno scolastico dei bambini a casa rappresenta la motivazione a fare tutti la propria parte perché si diventa famiglia che impara insieme, resiste insieme, sacrifica insieme sapendo che la scuola non è a distanza, ma in rete. Di qui la comunità educante, che sostiene e dà forza per un nuovo inizio, fatto di incertezza, di  precarietà, ma con la certezza dei valori comuni che neppure una pandemia può annientare.