“Sanremo c’è!”. Un commento (semiserio) sulla prima serata del Festival
Il Festival inizia sottotono (con Ferro che canta Tenco) e finisce lasciandoci perplessi (con la quasi esclusione di Ron). Nel mezzo uno spettacolo godibile, degno del nazional-popolare tanto caro ai noi italiani. Produzione importante, scenografia incantevole, regia sublime. Sanremo c’è nonostante qualche acciacco dovuto all’età e alla rimodulazione identitaria del suo pubblico. Come ci sono i due conduttori, bravi, senza sbavature, garbati. Conti e De Filippi conducono con leggerezza e sicurezza il carro festivaliero evitando di primeggiare l’uno sull’altra. Azzeccata la scelta del “valletto” Raul Bova”, che ribalta i cliché della bellona senz’anima e si propone come spalla intelligente ed ironica. Si rifà anche Tiziano Ferro che, dopo la discutibile interpretazione del compianto cantautore genovese, sfodera due buone interpretazioni. Ma veniamo ai big in gara. Prima della pagella semiseria, è doveroso ammettere che la qualità musicale non è mancata. La griglia degli artisti della prima serata è stata un mix di sonorità orecchiabili, testi quasi mai scontati e interpretazioni abbastanza riuscite.
In attesa del secondo appuntamento qualche altra nota analitica. Degni di menzione, l’elogio ai soccorritori in Abruzzo, il momento di sensibilizzazione contro il bullismo, la parodia musicale del duo Cortellesi-Albanese, la performance sudaticcia di Ricky Martin. Discutibili il monologo di Crozza, la cattiva imitazione di Bob Dylan e la misteriosa presenza di Diletta Leotta che pare essere stata invitata più per un’esigenza di compensazione estetica femminile che per fare un appello credibile contro i reati commessi in Rete.
#SANREMO2017 I Serata – la pagella del Presidente
Giusy Ferreri. Voce unica ma pezzo qualunque. Concordi con l’esclusione.
Fabrizio Moro. Cantautore ibrido tra impegno sociale e sentimentalismo spicciolo. Personaggio ibrido tra look alternativo e fisico da boy band tardo-adolescenziale. Canzone ibrida tra malinconia e monotonia.
Elodie. Artista costruita a tavolino attraverso il talent show di turno. E per questo senza sbavature. Bella presenza, bella interpretazione, bella canzone.
Lodovica Comello. La sua canzone sembra la sigla di un cartone della Disney. Lodovica canta, balla, recita, è amatissima dai più giovani ma ancora immatura per il palco dell’Ariston. Voce debole (a tratti stonata) e canzone bruttina.
Fiorella Mannoia. Il fatto che Tiziano Ferro sia super ospite e lei in gara (o viceversa) rimane un mistero. La sua canzone è potente ma ruffiana, struggente ma scontata. Costruita per vincere e per vendere, lascerà comunque un segno nella storia della musica italiana.
Alessio Bernabei. Come Elodie, Bernabei proviene dal talent della De Filippi ed è costruito per funzionare. A differenza di Elodie la sua interpretazione lascia a desiderare. Così come la sua voce e la sua canzone.
Albano. Canta di un “amore senza fine, di rose e di spine” tra acuti drasticamente diminuiti e nostalgie canaglie. Nonostante questo, qualche avanzo di emozione continua a regalarlo. Se ci fosse un premio alla carriera sarebbe suo di diritto.
Samuel. È uscito dal gruppo (i Subsonica) come Jack Frusciante ma nessuno sembra accorgersene. Stile, musica, linguaggio restano gli stessi e sono davvero belli. Non a caso la band torinese rimane una delle espressioni più originali e innovative del rock elettronico italiano degli ultimi vent’anni.
Ron. “La mia vita è una candela, brucerà lasciando cera”. Inizia con un aforisma da tatuarsi sul petto la canzone del Rosalino nazionale che ha aspettato meno di cent’anni per rincontrare la sua “ottava meraviglia del mondo”. La canzone è sanremese nel senso più alto del termine. Accarezza i cuori e rimane impressa nella testa fino (quasi) a commuovere. Il televoto non lo premia. Ma (come sappiamo) gli ultimi saranno…
Clementino. Anche quest’anno Sanremo ha il suo momento rap. La scelta accontenta una fascia di pubblico significativa ma risulta un po’ forzata. Come la canzone del rapper campano che risulta senza infamia e senza lode.
Ermal Meta. Giovane ma non giovanissimo. Bravo e può diventare bravissimo. Il cantautore italo-albanese stupisce con un brano impegnato e con una dichiarazione d’amore filiale. Promosso a pieni voti.