Lo smartphone sempre più telecomando della tv (e anche della nostra vita)

Infrarossi, bluetooth, wi-fi e app: sono le tecnologie che permettono a nostri telefoni smart di controllare il piccolo schermo. In direzione di una sempre maggiore interattività tra i due mezzi. Di Rosita Rijtano dal sito de la Repubblica del 3 gennaio 2016
IL TELECOMANDO in una mano, lo smartphone nell’altra: è il mantra della social tv. Di chi promuove l’integrazione tra la vecchia televisione, seppur sempre più smart, da un lato. E i nuovi media, dall’altro. Spingendo lo spettatore da casa a essere parte dello show. Come? Inviando in diretta i propri messaggi, o commentando live i programmi su Facebook e, soprattutto, su Twitter che per la sua particolare conformazione ha stretto con il piccolo schermo un sodalizio vincente: si stima, infatti, che il 95 % delle conversazioni online su ciò che va in onda “on tv” avviene proprio sulla piattaforma di Jack Dorsey. In 140 caratteri. Ebbene sì, ognuno di noi è chiamato a non essere più un semplice fruitore, bensì a “fare” la trasmissione. Seppur, a volte, con effetti disastrosi. Come dimostra la bestemmia andata in onda durante il Capodanno Rai 2015, diventata un caso politico.

Eppure presto potremo non far più distinzione tra i due oggetti (smartphone e telecomando), la fusione potrà essere quasi totale. E il mantra cambiare. Già. Perché scomodarsi a usare ben due dispositivi, quando il telefono è anche un telecomando? Stupiti? Non dovreste. Dato che con quel device che ci portiamo dietro quasi ovunque, fino a essere diventato una sorta di estensione fisica del nostro corpo, possiamo ormai fare la qualsiasi. Giusto per menzionare qualche esempio: abbiamo l’opportunità di trasformarlo in una torcia, un registratore, una video camera, una fotocamera, uno strumento per ascoltare la musica, per fare ricerche online. E, ovviamente, per cambiare canale. Passiamo al versante pratico: controllare il nostro televisore dallo smartphone si può grazie al fatto che molti dei nuovi apparecchi Android, come Huawei Honor 7, LG G4 e Samsung Galaxy S 6, sono dotati di una porta IR o possono avere gli infrarossi grazie a un accessorio esterno. È la stessa tecnologia sfruttata dai telecomandi tradizionali.

Così per compiere la transizione e iniziare a smanettare sulla nostra tastiera digitale, ci basterà scaricare qualche applicazione dedicata: The Peel Smart Remote, che offre in più una guida ai programmi personalizzata; AnyMote Smart Remote, adatta pure per alcuni impianti stereo o persino di aria condizionata; e IR Universal Remote. In mancanza dell’IR, niente paura: altri sistemi sfruttano il bluetooth o la connessione wi-fi di casa, a cui si allacciano la quasi totalità delle smart tv moderne. E sia Samsung che Philips, al pari di Sony, Panasonic, LG e Apple tv hanno messo a punto app ad hoc per dispositivi iOS e Android. Si tratta di software che spesso non solo abilitano funzioni base: fare zapping, alzare, abbassare il volume e compagnia cantante. Ma che prevedono una combinazione con i social network (Sony), permettono di avere a portata di mano l’elenco delle trasmissioni, le anteprime, di guardare la tv sul telefono. E, viceversa, i contenuti del telefono sulla tv. Perché la parola d’ordine è interattività.

La tecnologia quindi c’è, migliorerà ancora, fino a diventare accessibile ai più. E a guardar bene non si ripercuote esclusivamente sul piccolo schermo. Anzi, quest’ultimo è solo uno dei tanti aggeggi intorno a noi che, in un futuro non molto lontano, gli smartphone saranno – se non lo sono già – in grado di gestire. Anche a distanza. Oggi pensare di alzare le tapparelle, accendere le luci o il riscaldamento delle nostre abitazioni, mentre siamo al lavoro, non è più fantascienza. E i telefonini intelligenti si stanno trasformando, in pratica e non più metaforicamente, in quelli che il massmediologo Howard Rheingold ha definito i “telecomandi della nostra vita”. Preparandosi a inglobare via via, dentro di loro, una serie di oggetti che domani potrebbero sparire dalla quotidianità: dalle chiavi della macchina a quelle di casa. Puff, fagocitati, all-in-one. Una rivoluzione possibile grazie a tre fattori: l’esplosione dell’ecosistema delle applicazioni; l’evoluzione del bluetooth (si pensi ai beacon, cioè a quei piccoli trasmettitori dotati di bluetooth capaci di interagire con gli smartphone vicini comunicando informazioni via app ); e l’adozione del wi-fi direct che consente di connettere due dispositivi tra loro direttamente, senza passare da un router wireless. A ciò va aggiunta la crescita della cosiddetta “Internet of things” che riempie le nostre case e i nostri uffici di cose collegate alle Rete, come tra loro. E, quindi, governabili in modo centralizzato.

Certo, rimane il problema di stabilire degli standard condivisi. Però i big dell’hi-tech si stanno muovendo in questa direzione. Lo dimostrano Project Brillo e Homekit: piattaforme con cui, rispettivamente Google e la Mela morsicata, puntano a unificare il mondo domotico dei loro utenti. Passare dalle potenzialità alla pratica è giusto questione di tempo. “Processi di questo genere avvengono sempre con una certa gradualità”, spiega Alberto Marinelli, professore e presidente dell’area didattica Media, Tecnologie e Giornalismo dell’Università La Sapienza di Roma. “E dipendono dalle competenze distribuite in maniera generazionale. Ci sono generazioni più predisposte a far transitare tutto dentro questa tecnologia indossabile, che sperimenteranno fino ad adottare nuove abitudini. E altre no, per una diversa consuetudine e confidenza con il mezzo. Ma, di certo, l’automazione sarà diffusa”. Il rischio è di diventar troppo dipendenti.