C’era una volta il Comitato Media e Minori

Claudia Di Lorenzi, giornalista e conduttrice televisiva, racconta in maniera approfondita la triste storia del Comitato Media e Minori, deputato alla verifica dell’applicazione del Codice di Autoregolamentazione Tv e Minori,sottoscritto da emittenti pubbliche e private e avente l’obiettivo primario di assicurare la tutela dei minori da una programmazione televisiva potenzialmente dannosa. Dal n. 37 di gennaio 2016 della rivista trimestrale dell’Aiart La Parabola.

Claudia Di Lorenzi - C’era una volta il Comitato Media e Minori Claudia Di Lorenzi – C’era una volta il Comitato Media e Minori

 

C’era una volta il Comitato Media e Minori

di Claudia Di Lorenzi

1 Ragioni e ambizioni alla nascita
Nato sotto i migliori auspici nel novembre del 2002, il Codice di Autoregolamentazione Tv e Minori redatto e sottoscritto da emittenti pubbliche e private, nazionali e locali, veniva accolto come uno strumento finalmente efficace per assicurare la tutela dei minori da una programmazione televisiva potenzialmente dannosa. Con l’obiettivo dichiarato di “tutelare i diritti e l’integrità psichica e morale dei minori” venivano introdotte sanzioni maggiori e diversificate e le imprese si impegnavano a trasmettere in prima serata programmi adatti ai bambini, a “migliorare ed elevare la qualità delle trasmissioni televisive destinate ai minori”, disegnare una programmazione specifica per under 18 nella fascia dalle ore 16 alle 19 – la cosiddetta “fascia protetta” – e a trattare con rispetto, senza strumentalizzazioni e secondo modalità adeguate all’età i minori invitati a partecipare a quiz e trasmissioni tv. E ancora, le emittenti si dicevano pronte tra l’altro ad “aiutare gli adulti, le famiglie e i minori a un uso corretto ed appropriato delle trasmissioni televisive (…) per evitare il pericolo di una dipendenza dalla televisione e di imitazione dei modelli televisivi, e per consentire una scelta critica dei programmi”; a “collaborare col sistema scolastico per educare i minori a una corretta ed adeguata alfabetizzazione televisiva”; a “sensibilizzare in maniera specifica il pubblico ai problemi della disabilità, del disadattamento sociale, del disagio psichico in età evolutiva” e a “sensibilizzare ai problemi dell’infanzia, tutte le figure professionali coinvolte nella preparazione dei palinsesti o delle trasmissioni”. In altre parole, era l’alba di una nuova stagione ma soprattutto di una nuova cultura televisiva che poneva gli interessi primari del minore al di sopra di ogni altro interesse economico-aziendale. Come tra l’altro sancito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia a cui il Codice si ispira, secondo cui “i maggiori interessi del bambino devono costituire oggetto di primaria considerazione” (1). Un atto di civiltà e responsabilità dunque da parte delle imprese che nella tutela del minore riconoscevano la tutela delle future società.

2 Un percorso ad ostacoli, fra resistenze crescenti e pericolose ambiguità
Ma le norme scritte andavano anche rispettate, e a questo scopo fu quindi istituito il Comitato Tv e Minori, deputato alla verifica dell’applicazione del Codice. Composto in parti uguali da rappresentanti delle emittenti, delle istituzioni e degli utenti, il Comitato era chiamato al monitoraggio della programmazione televisiva per ravvisare ed eventualmente sanzionare comportamenti e scelte contrari alle norme. Un’attività che, anche a fronte delle numerose segnalazioni da parte del pubblico, ben presto si mostrò più impegnativa del previsto: tutt’altro che sporadiche le violazioni si rivelarono in alcuni casi sistematiche, né il recepimento in via legislativa del Codice, trasformato nel 2004 in legge di Stato, vincolante anche per le emittenti non firmatarie e a prescindere dalla piattaforma utilizzata (analogica, satellitare, digitale terrestre, Iptv), costituì un più efficace deterrente. A tre anni dalla nascita del Comitato, il suo primo Presidente, Emilio Rossi, già primo direttore del TG1 nei terribili anni di piombo, a capo del CTV e dell’Unione della stampa cattolica, in una intervista al settimanale Roma Sette (2) denunciava lo “scarso di funzionamento del Comitato” e la qualità dei programmi televisivi che “lascia molto a desiderare. (…) Mi riferisco alla volgarità, alla violenza e soprattutto alla banalizzazione, per cui problemi della massima delicatezza esistenziale vengono ridotti a frivolezza quotidiana su cui giocare”. In quegli anni Rossi si trovava a dover ribadire il ruolo del Comitato, nato per far rispettare il Codice e per “fischiare i falli”, insieme sottolineando la necessità di promuovere un cambiamento culturale profondo, senza il quale nessuna norma da sola risulta efficace: “Strada facendo – diceva nel novembre 2004 aprendo il Convegno promosso dal Comitato sul tema “Televisione e minori. Benefici e rischi. Valutazioni giuridiche, mediche, psicologiche” (3) – si è fatto via via più evidente che sarebbe del tutto arbitrario, illusorio e persino pericoloso pretendere di fare una buona televisione per decreti, sanzioni, per interventi magari spiacevoli. Quello che veramente conta è che si crei la mentalità giusta e si assumano le responsabilità appropriate”. Un invito che in molti casi trovava sorde le emittenti. Lo ricorda Luca Borgomeo, Presidente dell’Aiart, già Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti, che nello stesso convegno denunciava la scarsa efficacia dei sistemi di autoregolamentazione e che anni dopo, al periodico Città Nuova (4), spiegava: “Negli anni la situazione in seno al Comitato è mutata per effetto di diversi fattori: anzitutto la crescita di concorrenza fra le emittenti, e poi il fatto che il Codice, sottoscritto inizialmente come atto di natura privata, è stato nel 2004 recepito in via legislativa, diventando legge di Stato vincolante per tutte le emittenti. Il Comitato ne usciva potenziato anche di fronte ai non firmatari, come Sky, che si sentivano autorizzati a non rispettare il Codice, ma questo ha prodotto nel Comitato stesso la crescente insofferenza delle emittenti, che ancora oggi godono di una sorta di impunità, perché le sanzioni sono rare e lievi: non abbiamo mai registrato l’oscuramento di un programma o la divulgazione presso l’opinione pubblica delle sanzioni, nemmeno per clamorose violazioni del Codice. L’Autority ha sempre avuto un occhio di riguardo per le emittenti e in particolare per Mediaset: si tratta di una constatazione oggettiva. Mediaset soprattutto è stato favorito in modo clamoroso dal governo, grazie agli interventi dell’ex Ministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani». Un clima di impunità che ha favorito dunque la crescita delle violazioni, negli anni alimentate anche dallo sviluppo e dalla diffusione delle nuove tecnologie informatiche, che hanno consentito la condivisione dei contenuti su piattaforme diverse e diversificato le modalità di accesso e fruizione degli stessi.

E’ quanto viene sottolineato nel Consuntivo delle attività del Comitato nel 2011 (5) (l’ultimo disponibile, poiché nel 2014 il report non è stato redatto) secondo cui “la digitalizzazione, la convergenza dei mezzi e l’utilizzo di Internet hanno moltiplicato i canali, frammentato il pubblico” e offerto “nuove modalità di distribuzione dei contenuti”. In effetti si è passati da meno di 10 a circa 200 canali nazionali e alla tv lineare si è affiancata quella non lineare, la “pay per view”, quella “on demand”, la mobile tv e la web tv. Un aumento dell’offerta ed una maggiore flessibilità della fruizione che hanno visto crescere anche la disponibilità di prodotti non adatti ai minori, mettendo a rischio il rispetto della “fascia protetta”- 16.00/19.00 – dove la possibilità che il minore sia solo davanti alla tv richiede uno specifico controllo su programmi, trailer e pubblicità – e di quella dedicata alla “tv per tutti”- 7.00/16.00 e 19.00/22.30 – che presuppone la presenza dell’adulto accanto al bambino ma che pure vieta la trasmissione di contenuti nocivi se non per stringenti esigenze informative e assicurandone la preventiva segnalazione.

Secondo il bilancio del Comitato sono 62 le “violazioni accertate” nel 2011, 79 i procedimenti instaurati e 15 le raccomandazioni alle emittenti: dati in lieve calo rispetto al 2010 ma che confermano il trend in crescita (Tab.1). Una tendenza che emerge particolarmente nella programmazione di Rai, Mediaset e Sky e che riguarda anzitutto film, telefilm, tg e programmi di informazione (Tab.2).

Tab. 1 Tab. 2

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Il report riferisce anche di numerosi casi di utilizzo inadeguato della segnaletica per bollini colorati e registra episodi in cui i minori sono coinvolti in trasmissioni televisive secondo modalità che non tutelano il loro equilibrio psichico e la loro dignità.

Dell’aumento progressivo delle infrazioni parla anche Franco Mugerli, Presidente del Comitato dal 2009 al 2011, incaricato dopo la scomparsa nel 2008 di Emilio Rossi. In un ampio saggio pubblicato su “La Parabola” (6) Mugerli ricostruisce l’attività del Comitato fin dalla nascita e riferisce di un raddoppio delle violazioni nel triennio della sua presidenza: “Dall’inizio della sua attività, il Comitato ha esaminato quasi 3.000 casi; su circa un terzo di questi ha avviato un procedimento ipotizzando una violazione al Codice che, alla fine del procedimento, è stata riscontrata per 408 programmi. Nel triennio 2003–2005 su 1.246 casi considerati sono state accertate violazioni per 132 programmi (pari al 10,6 % dei casi considerati e il 37,1% dei procedimenti avviati). Nel triennio 2006–2008 sono stati presi in esame 863 casi e riscontrate 97 violazioni (pari all’11,2% dei casi considerati e il 34,7% dei procedimenti instaurati). Nel triennio 2009–2011 su 809 casi considerati sono state accertate violazioni per 180 programmi, pari al 22,4% dei casi considerati e il 64,2% dei procedimenti instaurati. Questi numeri dicono non solo del grande lavoro svolto dal Comitato, ma anche costituiscono un significativo indicatore di un preoccupante peggioramento della programmazione televisiva negli anni. Durante la mia presidenza si è registrato il numero più alto in assoluto di violazioni accertate (180), anche in rapporto ai procedimenti instaurati (64,2%). Rispetto al triennio precedente, a fronte di un numero di poco inferiore di casi considerati c’è stato quasi un raddoppio delle violazioni riscontrate. Quasi la metà delle violazioni accertate dal Comitato nella programmazione televisiva hanno riguardato film, telefilm e fiction. Se anche negli anni precedenti questi generi di programmi erano stati al primo posto per numero di violazioni, si è registrato un incremento allarmante. Le risoluzioni adottate per film, telefilm e fiction nel triennio 2009–2011 sono state 82: più del doppio di quelle riscontrate nel triennio precedente 2006–2008 dove si erano riscontrate 36 violazioni”.

Oltre a film e telefilm, le violazioni crescono anche nei tg e nei programmi di informazione e approfondimento giornalistico, e poi nei reality e persino nei cartoni animati e nella pubblicità. Per ciò che riguarda i telegiornali e i programmi di informazione, che spesso, anche se diffusi in fascia protetta, trattano notizie di cronaca nera non di rado coinvolgenti minori e accompagnate da immagini di violenza, come pure temi inerenti la sessualità, l’omosessualità, la prostituzione, la droga e le follie omicide in famiglia, le violenze che coinvolgono bambini e adolescenti, il Comitato ha rilevato la tendenza a privilegiare la spettacolarizzazione all’approfondimento e la scelta di temi e linguaggi inadatti ad un pubblico di minori. Tra i servizi oggetto di risoluzione anche quelli sugli omicidi di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Elisa Claps, spesso caratterizzati dall’insistenza su dettagli macabri e violenti, “la ricerca di espressioni e immagini forti, la reiterazione ossessiva e morbosa delle immagini, l’affastellarsi fantasioso di ipotesi delittuose sempre più intricate e pruriginose”. Elementi che il Comitato raccomandava di evitare in una “Lettera aperta” alle emittenti del 15 ottobre 2010 – peraltro del tutto disattesa – nella quale si ribadiva che “il doveroso e ineludibile diritto di cronaca non può e non deve travalicare il limite, non solo del comune buon senso, ma neppure, e a maggior ragione, del doveroso rispetto della delicata fragilità emotiva (…) dei minori”.

Richiami che evidenziavano l’urgenza di una maggiore responsabilizzazione da parte delle emittenti e degli organi chiamati a vigilare, laddove a prevalere erano spesso – e sono tuttora – le logiche del mercato e gli interessi di parte piuttosto che quelli dei minori. Al riguardo, il Presidente Mugerli su “La Parabola” riferisce che “spesso nelle redazioni televisive si è riscontrata una sordità ai richiami del Comitato” e che “se molta parte del Codice Tv e Minori è dedicata a norme di comportamento alle quali le imprese televisive dovrebbero attenersi, ma che talvolta risultano disattese, colpisce che alcuni dei principi generali a fondamento del Codice in questi dieci anni siano stati solo pressoché enunciati”. In particolare si tratta degli “impegni assunti dalle imprese televisive ad aiutare gli adulti e le famiglie ad un uso corretto delle trasmissioni tv e a collaborare col sistema scolastico per educare a una corretta alfabetizzazione televisiva”. Impegni che – osserva ancora Mugerli – “non possono essere stati certo del tutto assolti: con l’apposizione di una segnaletica televisiva, sempre più microscopica e discutibile, sui programmi e guide tv; con qualche passaggio di uno spot sul Codice per lo più in orari di basso ascolto; con recenti campagne di sensibilizzazione sull’utilizzo del parental control”.

3 Il parental control, alibi perfetto?
Proprio l’adozione del “parental control”, il dispositivo-filtro pensato per assicurare l’esclusione dei minori dalla visione di contenuti dannosi, si è rivelata infatti fonte di gravi problematicità: piuttosto che agevolare la tutela del minore, lo strumento introdotto per via legislativa nel 2011 in un Regolamento in attuazione del cosiddetto “Decreto Romani” (D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44) (7), ha favorito la deresponsabilizzazione delle emittenti e consentito la divulgazione di contenuti nocivi anche nella “fascia protetta” e in quella della “tv per tutti”, contraddistinti per di più da una segnaletica insufficiente. In vero sull’efficacia del filtro il dibattito è ancora acceso. Se da un lato i fornitori di servizi audiovisivi, insieme all’Agcom, ritengono lo strumento efficace, tanto da disegnare intorno ad esso un rinnovato sistema di “tutele”, dall’altro organismi istituzionali e della società civile evidenziano significative perplessità: in assenza del dispositivo o in caso di mancato funzionamento dello stesso il minore potrebbe essere esposto a contenuti fortemente lesivi. In effetti non sono trascurabili i limiti riconosciuti al sistema di controllo: l’adozione del parental control da parte dell’utente non è obbligatoria ma opzionale; l’utilizzo dello strumento – che richiede all’utente maggiorenne l’inserimento di un codice PIN personalizzato che sostituisce quello generico fornito al momento dell’acquisto – può non essere agevole per tutti gli utenti, soprattutto per quegli adulti che non hanno familiarità con le nuove tecnologie; il sistema non è applicabile ai televisori “integrati” né ai decoder utilizzati per la ricezione televisiva digitale terrestre messi in commercio prima dell’entrata in vigore del Regolamento (se ne contano circa 40 milioni per altrettanti utenti/famiglie); a tutt’oggi – come osserva Domenico Infante, membro del Comitato per la categoria degli Utenti – “la Rai, e non sola, non è dotata di un sistema per l’invio di segnale criptato per l’oscuramento del televisore a mezzo del parental control. Per stare in regola l’emittente pubblica dovrebbe decidere di non diffondere mai trasmissioni nocive”.

Sulle criticità dello strumento si è espressa anche Elisa Manna, già vicepresidente del Comitato e oggi membro in rappresentanza degli Utenti: “Il parental control si dimostra un tentativo del tutto inefficace di filtrare i contenuti nocivi della televisione – ha detto la ricercatrice sollecitata dal Copercom, il Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione (8) – Lo è per diversi aspetti: ad esempio, la difficoltà di classificare i contenuti che possono essere filtrati dal dispositivo. È evidente che molti dei programmi televisivi non possono essere classificati preventivamente: si pensi ai programmi sportivi o ai notiziari”. Esplicito al riguardo è il report (9) elaborato nel 2012 dal Censis, dove al capitolo “Comunicazione e Media” sui “limiti del parental control” afferma che oltre la metà della famiglie italiane (il 54,5%) “puntualizza che il filtro tecnologico in tv a protezione dei minori potrebbe essere efficace, ma bisognerebbe migliorarlo”, altrimenti “passa di tutto”. Inoltre secondo l’11,1% degli intervistati lo strumento “è un modo come un altro per le emittenti per lavarsi la coscienza”. Secondo l’analisi del Censis “Il parental control, così come viene attuato in Italia, è un fallimento dal punto di vista dell’effettiva protezione dei minori, che è la funzione per la quale è stato introdotto. L’intera responsabilità viene scaricata sulle famiglie (e le vivaci proteste da parte delle associazioni di genitori e insegnanti … ne sono la prova), che non hanno strumenti realmente efficaci”. “Introdurre il principio – conclude l’Istituto di ricerca – come ha fatto la recentissima normativa approvata a luglio del 2012, che si può affidare a un piccolo robot nascosto nel televisore la protezione dei nostri figli, la selezione delle immagini e le storie che entrano nel loro immaginario e influenzano la loro personalità futura, è un’abdicazione rischiosa sul piano educativo e un inchino ai soli interessi del mercato”.

Sul tema Franco Mugerli precisa che il controllo parentale “non è dotato di efficienti garanzie sul soggetto che esegue un eventuale cambio di opzione, oltre ad essere facilmente aggirabile dagli stessi minori. Al contrario gli accorgimenti tecnici tali da escludere che i minori vedano o ascoltino programmi nocivi devono essere idonei ed effettivamente capaci di assicurare la finalità assicurata dalla direttiva. Tali esigenze certamente non sono idoneamente realizzabili dalle apparecchiature in uso in Italia (ivi compreso il parental control), per cui l’accorgimento sarebbe solo apparente. Ciò è aggravato, anche dall’assenza di ogni disciplina normativa che fissi rigorose procedure per l’esercizio e l’utilizzo del controllo parentale (attualmente applicato con notevole discrezionalità di criteri da parte delle emittenti) e che fornisca ai fornitori di contenuti criteri certi per una classificazione di tutti i programmi”. “Con l’alibi del parental control e dell’istruzioni per l’uso – continua Mugerli – che ora alcune emittenti trasmettono con frequenza specie in fascia protetta, sarà scaricata sulle famiglie quella responsabilità che invece dovrebbe essere anzitutto in capo alle imprese televisive. Famiglie che assistono impreparate e sorprese per quanto sta passando sullo schermo televisivo e che corrono ai ripari iniziando ad impratichirsi di questo sconosciuto sistema del parental control, salvo scoprire che la classificazione è carente e contraddittoria, diversa tra emittente ed emittente, lo strumento di difficile applicazione (basti pensare a una famiglia con figli di varie età)”.

E se le associazioni dei telespettatori e dei genitori, vista l’inaffidabilità dello strumento, sottolineano l’urgenza di promuovere l’educazione all’uso corretto dei media, presso i ragazzi ma anche i genitori e gli insegnanti, l’UCSI (Unione cattolica stampa italiana) interviene sul tema con un vero atto d’accusa. Secondo Andrea Melodia, Presidente dell’organismo, “il parental control, più che uno strumento a favore delle famiglie e dei minori, appare come la foglia di fico usata per nascondere la propria vergogna da parte di chi fa cassa (ci piacerebbe sapere quanto abbondante) proponendo sistematicamente e massivamente contenuti pornografici. Non a caso – continua Melodia secondo quanto riportato dal Copercom – chi ha investito nell’offerta di un parental control abbastanza sofisticato, e non sappiamo quanto realmente applicato in quella piattaforma, è l’emittente a pagamento Sky, attivissima nell’offerta di programmi pay per view ‘per adulti’. È la parte nascosta e infamante di un marchio che esibisce qualità”.

Proprio il “caso Sky” ha impegnato negli anni buona parte del lavoro del Comitato Media e Minori, e se ne parlerà diffusamente a breve. Nel frattempo sarà qui utile ricordare la proposta del Comitato sulla discussa questione del parental control. Presentando gli Elementi di consuntivo dell’attività 2009 del Comitato, l’11 febbraio 2010, alla presenza del titolare del Ministero dello Sviluppo Economico, on. Paolo Romani, il Presidente Mugerli illustrava il piano per un più efficace sistema di tutela: “Il Comitato, raccogliendo le istanze che in particolare l’associazionismo famigliare da tempo sollecita – scandiva Mugerli – ritiene necessaria l’introduzione di una funzione di controllo parentale che inibisca l’accesso a tutti i prodotti editoriali non adatti ad un pubblico di minori, lasciando all’utente la facoltà di una sua eventuale disattivazione tramite digitazione di un PIN. Inoltre ritiene che la classificazione dei contenuti dei programmi ad accesso condizionato vada realizzata in modo imparziale ed uniforme secondo criteri chiari e condivisi, tramite un sistema di rating sulla base delle fasce di età”.

Da un lato si chiedeva dunque che il sistema-filtro fosse impostato a priori e già inserito e funzionante al momento dell’acquisto del televisore o del decoder, così da assicurare l’oscuramento dei contenuti lesivi; dall’altro si richiamava l’esigenza di uniformare il sistema di classificazione dei prodotti televisivi. A ben vedere infatti le diverse emittenti adottano ciascuna propri sistemi di classificazione, e questa variabilità rischia di confondere l’utente che deve scegliere talvolta livelli di blocco diversi. Sky, ad esempio, suddivide i contenuti in cinque categorie: PT – Programmi per tutti; BA – Bambini accompagnati (consigliata la presenza di un genitore); 12 – Vietato ai minori di 12 anni; 14 – Vietato ai minori di 14 anni; 18 – Vietato ai minori di 18 anni. Mediaset ha un servizio di parental control sia per i programmi a pagamento (Mediaset Premium), che per quelli in chiaro, ma la classificazione riguarda soltanto i film e solo per questi è possibile attivare il parental control, mentre gli altri programmi sono solo contrassegnati da bollini. Per la pay tv Mediaset suddivide i contenuti in due fasce di età: 14 e 18 anni. Viene indicata anche l’età di 4 anni ma non è previsto un blocco selettivo. Sul digitale terrestre i rating sono 12, 14 e 18 anni ma i programmi trasmessi non sempre risultano adatti a queste età. Infine, la Rai, pur essendo servizio pubblico, non adotta alcuna classificazione.

4 L’interpretazione delle norme e la responsabilità dei controllori: il caso Sky
Il dibattito sulla assoggettabilità al Codice delle tv a pagamento e dei programmi ad accesso condizionato ha accompagnato tutta la storia del Comitato Media e Minori. Il caso Sky è stato certamente il più discusso. Non avendo sottoscritto il Codice, e trincerandosi dietro l’adozione del controllo parentale, l’emittente ha agito come libera dall’obbligo di rispetto della normativa – sebbene la stessa, come detto, dal 2004 sia diventata legge di Stato vincolante per tutte le imprese televisive – per esempio trasmettendo film vietati ai minori di 14 anni in orario di tv per tutti, dalle 7.00 alle 22.30, in violazione non solo del Codice ma anche del “Testo unico della radiotelevisione” (art.34). In questo contesto, non ha favorito l’assunzione di responsabilità da parte dell’emittente, e di altre pay- tv, l’atteggiamento ambiguo degli organi istituzionali di controllo: nel tempo la mancanza di un orientamento chiaro e condiviso circa gli obblighi delle emittenti ad accesso condizionato ha favorito la persistenza di “zone franche” e il perpetuarsi delle violazioni.

Al riguardo racconta il Presidente Mugerli: “Gli interventi del Comitato con Sky sono stati inefficaci e ne è seguito un lungo contenzioso anche giudiziario. Già all’inizio del mio mandato, con lettera del 27 marzo 2009, avevo posto all’attenzione del Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Corrado Calabrò, questa problematica “da tempo esistente particolarmente nei rapporti con la Soc. Sky e che non ha trovato sinora adeguata soluzione”. “Nel merito – scrivevo –a questo Comitato non appare sufficiente la semplice presenza a livello di decoder di un sistema di parental control attivabile dall’utente, quale quello attualmente utilizzato da Sky, ma ritiene necessario un parental control inserito di default dall’emittente per tutti i prodotti editoriali non adatti ad un pubblico di minori, lasciando all’utente la facoltà di una sua eventuale disattivazione. Si fa inoltre presente che nel contenzioso instauratosi con Sky su tale specifica questione, è stato anche sostenuto da questo Comitato che il controllo specifico dovesse essere realizzato in modo imparziale ed uniforme sulla base di parametri e criteri ampiamente condivisi e verificabili, in modo da offrire sicurezza alle famiglie-utenti, come del resto attuato in alcuni Paesi europei con metodi anche di rating.” Tuttavia, non solo gli interventi in merito del Comitato nei confronti di Sky sono risultati inefficaci, ma a lungo l’Autorità non ha seguito in proposito un chiaro indirizzo interpretativo e alle risoluzioni adottate dal Comitato non hanno fatto seguito opportuni procedimenti sanzionatori, restando quindi aperta una soluzione del quesito”.

A fronte di questa divergenza significativa e ripetuta fra le valutazioni del Comitato e quelle dell’Agcom, il Comitato ha inteso chiedere all’Autorità un chiarimento interpretativo sulla normativa. Con una circolare ad hoc (allegato alla Delibera 220/11/CSP del 22 luglio 2011) Agcom ha risposto legittimando la trasmissione televisiva di film vietati ai minori di 14 anni in orario di tv per tutti in presenza del parental control. Un’interpretazione che ha così di fatto parificato i VM14 ai film “che possono nuocere”, mentre fino a quel momento venivano assimilati a quelli “gravemente nocivi” in onda solo in orario notturno, e confermato il giudizio positivo sul parental control, i cui limiti invece risultano largamente evidenti. A fronte di ciò, il Comitato ha espresso preoccupazione in quanto le nuove indicazioni non solo vanificavano le disposizioni di legge e il Codice di autoregolamentazione, ma avvaloravano il rifiuto di Sky all’osservanza del Codice, rischiando di compromettere il contenzioso pendente con l’emittente presso il Tar del Lazio.

5 Il Comitato e l’Agcom, ambiguità pericolose
Per il vero il “caso Sky” è solo uno dei tanti capitoli che hanno visto il Comitato e l’Agcom su posizioni distanti. Per comprendere la natura del rapporto fra i due organismi sarà utile chiarire le rispettive competenze. Secondo la normativa tuttora in vigore, mentre il Comitato è chiamato alla verifica delle violazioni del Codice ed esercita un’azione prevalentemente suasiva nei confronti delle emittenti, l’Agcom esercita il potere sanzionatorio amministrativo. L’Autorità, in caso di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori o che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, può irrogare direttamente sanzioni economiche e, in caso di grave e reiterata violazione, può sospendere o revocare la licenza o l’autorizzazione. Tuttavia la storia del rapporto fra i due organismi registra significative difformità di giudizio sui provvedimenti a carico delle emittenti: nel periodo 2003-2011 (come detto, il report delle attività del 2014 non è stato redatto, mentre nel 2012 e per buona parte del 2013 il Comitato è stato congelato in attesa del rinnovo dei membri) il Comitato ha trasmesso all’Agcom un totale di 615 programmi, di cui 408 oggetto di risoluzione di violazione e 207 segnalazioni preliminari. Di questi 615 programmi a tutto il 2011 Agcom ne aveva valutati 423, dei quali 190 sono quelli conclusi con una sanzione pecuniaria, 18 sono state le oblazioni e 6 le diffide. Invece, i casi archiviati sono stati 209. Dati che misurano la distanza fra Comitato e Autority, che pure dovrebbero perseguire gli stessi obiettivi facendo riferimento alle stesse norme. Al riguardo l’analisi di Mugerli chiarisce ulteriormente la questione: “Dopo molto tempo (anche anni) dalla trasmissione del programma contestato e dall’invio di questa segnalazione qualificata da parte del Comitato, solo poco più di una pratica su tre viene esaminata e solo a una su tre di quelle esaminate viene confermata la violazione al Codice e alla legge con una sanzione. Al contrario, le risoluzioni di violazione adottate dal Comitato e archiviate da Agcom in sede preistruttoria sono molto numerose (…) e tendono purtroppo a vanificare il lavoro svolto dal Comitato, svuotando di significato l’attività portata responsabilmente avanti in adempimento di un preciso compito istituzionale. Il Comitato ha sollecitato l’Autorità ad un confronto, esprimendo preoccupazione che valutazioni troppo spesso difformi nell’espletamento delle reciproche competenze, qualora perduranti, possano ingenerare all’esterno perplessità sul corretto andamento dell’attività volta alla tutela dei minori secondo comuni principi e orientamenti. Ha inoltre auspicato che, in via generale, le risoluzioni del Comitato (…) venissero considerate quali segnalazioni qualificate al fine dell’avvio del procedimento istruttorio di competenza dell’Autorità”. Tra i dati di consuntivo, infatti, uno in particolare merita attenzione. Sui 209 casi archiviati dall’Agcom 54 sono le archiviazioni dopo procedimento e 155 quelle d’ufficio senza procedimento. Significa in sostanza che per i tre quarti delle archiviazioni l’Autorità ha rinunciato ad un esame di merito approfondito. “Un dato non irrilevante – osserva Luca Borgomeo – se si pensa che le segnalazioni che il Comitato trasmette all’Autority sono il frutto della mediazione fra emittenti, istituzioni e utenti, un punto di sintesi fra interessi divergenti. Disconoscerle o ignorarle significa mortificare l’azione del Comitato. Questo è accaduto quando l’Agcom era guidata da Corrado Calabrò e accade ancor più oggi con la presidenza di Angelo Cardani. Il rischio è la delegittimazione del Comitato, la mortificazione delle professionalità presenti e della qualità del lavoro svolto, e dunque il depotenziamento dell’organismo”. Ne consegue, almeno per i soggetti realmente interessati alla tutela dei minori, una perdita di fiducia nell’effettiva capacità d‘influenza del Comitato. E dunque, forse, anche la “diserzione in massa” – come detto nell’introduzione – delle Assemblee plenarie, che non riescono a operare per mancanza del “numero legale”.

6 L’involuzione delle norme
Oltre alla verifica dell’attuazione del Codice nella programmazione televisiva, negli anni il Comitato Media e Minori è stato coinvolto anche nel percorso di approvazione e applicazione delle nuove disposizioni di legge sui servizi media audiovisivi. Progressive modifiche alla normativa di settore che hanno inteso ridisegnare l’apparato delle regole tenendo conto dell’evoluzione tecnologica del sistema dei media, con la convergenza fra piattaforme diverse e la modifica delle modalità di fruizione, in attuazione delle disposizioni comunitarie anch’esse nel frattempo rinnovate. In Italia, nel 2005, il Testo Unico della radiotelevisione (D.lgs. 31/07/2005, n. 177) aveva recepito il Codice tv e minori, confermandone il carattere vincolante per tutte le emittenti come stabilito nel 2004 dalla cosiddetta Legge Gasparri (3 maggio 2004, n. 112). Poco dopo l’apparato dei media si trovò a confrontarsi con la necessità di un ulteriore aggiornamento: la nuova Direttiva sui Servizi Media Audiovisivi del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, dell’11 dicembre 2007 (SMA 2007/65/CEE, poi codificata nella direttiva 2010/13/UE del 10 marzo 2010) (10), imponeva agli Stati Membri di adattare l’ordinamento interno alle sue disposizioni entro il 19 dicembre 2009. Le nuove norme prendevano atto del mutamento tecnologico e di mercato nel sistema dei media e attuavano il principio di “neutralità tecnologica” in base al quale i servizi di media audiovisivi devono essere regolati a prescindere dal mezzo utilizzato per la distribuzione o fruizione del contenuto, come invece avveniva in passato. Veniva così introdotta la nozione di “servizio di media audiovisivi”, che superava quella più circoscritta di “emittente”. In questa evoluzione veniva confermata l’attenzione ai diritti del minore, stabilendo ad esempio che la protezione dei minori è questione “di interesse pubblico generale” e che norme sulla tutela dello sviluppo fisico, mentale e morale dei minori devono essere introdotte in tutti i servizi di media audiovisivi. Questi ultimi suddivisi in “servizi lineari”, ad indicare quelli in cui il telespettatore riceve passivamente il palinsesto elaborato dal fornitore del servizio, e “servizi non lineari, per i quali – con un’inversione di prospettiva – è il telespettatore a scegliere il contenuto e il momento di fruizione. I servizi non lineari (a richiesta) venivano soggetti a norme meno restrittive rispetto ai primi in considerazione del maggior livello di controllo da parte dello spettatore (Considerato 58, Art. 12).

Rispetto alla tutela dei minori, la direttiva SMA operava una distinzione tra i programmi che possono “nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori, fra cui i programmi che contengono scene pornografiche o di violenza gratuita”, e quelli che “possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori” (art. 27). Per i primi veniva stabilito un divieto assoluto alla trasmissione, ad eccezione dei soli contenuti a richiesta “messi a disposizione del pubblico solo in maniera tale da escludere che i minori vedano o ascoltino normalmente tali servizi” (art. 12). Per i secondi la trasmissione era condizionata dalla scelta dell’orario o dall’adozione di un qualsiasi accorgimento tecnico che escludesse la presenza di minori all’ascolto. Qualora tali programmi siano trasmessi in chiaro, devono essere “identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione”.

Per recepire la Direttiva SMA l’Italia elabora un decreto legislativo (n. 169) con modifiche al Testo Unico, ma da più parti si sollevano dubbi di compatibilità con le norme europee e comunque il governo tarda, rispetto ad altri Paesi comunitari fra cui Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, nel sottoporla all’esame della Commissione UE competente: l’Italia viene posta sotto procedura di infrazione. Rispondendo ad una interrogazione parlamentare, nel febbraio 2010, la Presidente della Commissione europea per l’Agenda Digitale, Neelie Kroes, afferma: “La Commissione desidera tuttavia sottolineare che tale decreto legislativo non le è stato notificato. Di recente la Commissione ha chiesto ai membri italiani del comitato di contatto istituito dalla direttiva SMA di fornire informazioni relative alla situazione di tale decreto legislativo, in seguito a domande di giornalisti e cittadini. Il 28 gennaio 2010 la Commissione ha avviato inoltre una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per mancata comunicazione delle misure di attuazione, poiché non ha notificato la legislazione di recepimento della direttiva SMA, entro il termine del 19 dicembre 2009” (11).

Nel marzo 2010 l’Italia “si mette in regola” adottando il cosiddetto “Decreto Romani” (D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44) che modifica e integra con nuove norme il Testo Unico sulla televisione d’ora in poi chiamato “Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici” (12). In realtà, piuttosto che un accoglimento della normativa europea, si tratta di un vero e proprio passo indietro in quanto le novità introdotte riducono in maniera pericolosa le tutele per i minori. Le nuove disposizioni, pur vietando le trasmissioni diurne di contenuti “gravemente nocivi”, legittimavano in orari notturni trasmissioni di contenuti pornografici o di violenza gratuita, sia sui servizi lineari che non lineari, violando il divieto inderogabile espresso dalla direttiva SMA. Inoltre, tali programmi non venivano accompagnati da una segnaletica di avvertimento costante ma presente solo all’inizio della trasmissione. Rispetto ai contenuti “potenzialmente nocivi” il Decreto Romani si allineava alle norme comunitarie, prevedendo la necessità di predisporre “accorgimenti tecnici” come condizione per la trasmissione dei suddetti contenuti in orario diurno e notturno. Il decreto conteneva certamente delle novità positive: il divieto, riconfermato, alla trasmissione dei film vietati ai minori di 14 anni dalle ore 7.00 alle 22.30; il fatto che tutte le emittenti televisive siano tenute ad osservare il Codice e debbano garantire misure specifiche a tutela dei minori nella fascia oraria 16.00-19.00 e all’interno di programmi direttamente rivolti ai minori; la realizzazione di campagne scolastiche per un uso corretto e consapevole della tv; il coinvolgimento del Comitato nella definizione dei criteri di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato. Tuttavia, le deroghe introdotte sui contenuti “gravemente nocivi”, indebolivano il quadro complessivo delle tutele.

Ad aggravare la situazione anche la difficoltà a classificare in maniera chiara e univoca i contenuti, per anche adattare gli eventuali sistemi di segnalazione, dai bollini colorati agli annunci verbali. Se attraverso un lavoro di mediazione in seno al Comitato e d’intesa con l’Agcom si giunse alla classificazione condivisa dei contenuti “gravemente dannosi”, lo stesso risultato non fu possibile ottenere per i contenuti “potenzialmente nocivi”. Ricorda l’allora Presidente Mugerli che “l’estensione della classificazione anche ai programmi che possono nuocere, condivisa dalla maggioranza del Comitato e anche dal rappresentante di Agcom presente ai lavori, ha tuttavia trovato l’opposizione delle emittenti e in particolare di Mediaset che hanno voluto limitare la classificazione solo ai programmi gravemente nocivi. Al contrario una classificazione di tutti i contenuti nocivi sulla base di criteri condivisi avrebbe evitato la discrezionalità di scelte da parte delle emittenti e offerto sicurezza alle famiglie, come avviene con l’adozione di rating comuni in molti Paesi europei”. Intanto con un Decreto Ministeriale del 1 aprile 2011 il Ministero per lo Sviluppo Economico recepiva con modifiche il documento elaborato dal Comitato e approvato dall’Agcom dal titolo “Criteri per la classificazione dei programmi i cui contenuti ‘possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori”. In base al successivo D.lgs. 28 giugno 2012, n. 120, Agcom ha poi adottato un nuovo “Regolamento sui criteri di classificazione delle trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente dello sviluppo fisico, mentale o morale dei minori” (Allegato A alla delibera n. 52/13/CSP del 3 maggio 2013).

Per ciò che riguarda la necessità di individuare “accorgimenti tecnici” in grado di assicurare l’esclusione dei minori dalla visione di contenuti dannosi, dopo l’approvazione del Decreto Romani, e secondo le disposizioni in esso contenute, presso l’Agcom venne costituito un Tavolo tecnico a cui prese parte anche il Comitato.

Ne risultò l’approvazione di un Regolamento (delibera n. 220/11/CSP del 22 luglio 2011) che tuttavia disattendeva alcuni criteri generali previsti dal Testo Unico, come la prescrizione secondo cui “il codice segreto dovrà essere comunicato con modalità riservate, corredato dalle avvertenze in merito alla responsabilità nell’utilizzo e nella custodia del medesimo, al contraente maggiorenne che stipula il contratto relativo alla fornitura del contenuto o del servizio”. Al riguardo infatti le emittenti obiettarono che questa disposizione potesse essere attuata solo in presenza di decoder proprietari come quelli di Sky, ma non sui decoder e televisori integrati utilizzati per la ricezione televisiva digitale terrestre, almeno quelli già distribuiti alla data di entrata in vigore della legge: i codici di accesso dei ricevitori digitali terrestri non sono in possesso dell’operatore, in quanto sono definiti, gestiti e registrati nella memoria del ricevitore stesso.

Nulla valse l’obiezione del Comitato che per voce del suo Presidente evidenziò che l’impedimento tecnico non poteva giustificare un vulnus nell’applicazione della legge. “Come gli stessi operatori presenti al Tavolo tecnico hanno confermato – ricorda Mugerli – all’entrata in vigore del Regolamento risultavano già installati 40 milioni di decoder o tv integrati. In tal modo la legge è stata derogata per 40 milioni di utenti e si è creato un preoccupante presupposto di inapplicabilità di tutto l’impianto a tutela dei minori nelle trasmissioni di contenuti pornografici o di violenza efferata”. Un nuovo Regolamento sarà adottato in seguito senza tuttavia sanare questi limiti.

7 L’Italia a rischio infrazione in UE
Le numerose criticità che caratterizzavano il sistema di tutela dei minori in Italia non passarono tuttavia inosservate in Europa: nel 2011, vista l’assenza di una protezione adeguata per i telespettatori minorenni, la Commissione Europea comunicò all’Italia il rischio dell’apertura di una nuova procedura di infrazione. A preoccupare Bruxelles era soprattutto la violazione del divieto assoluto di trasmettere contenuti gravemente dannosi, e insieme l’insufficienza dei dispositivi tecnici che avrebbero dovuto escludere i minori dalla visione di programmi lesivi.

Con una lettera del 30 marzo 2011 al Governo italiano (EU Pilot 1890/11/INSO), la Commissione UE chiedeva informazioni in merito al recepimento in Italia della direttiva comunitaria e sollecitava la modifica delle disposizioni giudicate insufficienti. “Per i servizi lineari – si legge nella lettera – la legge italiana, in contrasto con l’articolo 27 (1) della direttiva SMA, non impone un divieto assoluto di trasmettere categorie di film/programmi che possono nuocere gravemente ai minori. La Commissione desidera chiedere alle Autorità italiane se e come sarà assicurato che in Italia le trasmissioni televisive contenenti programmi che possono nuocere gravemente ai minori (…) non saranno trasmesse su servizi lineari”. Inoltre la Commissione chiedeva informazioni sul sistema di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato e sulla regolamentazione contenente gli accorgimenti tecnicamente realizzabili.

Una risposta delle Autorità italiane del settembre 2011 viene giudicata non sufficiente, e dunque l’Europa conferma la data del 29 marzo 2012 come scadenza dei termini per emanare decreti correttivi al Decreto Romani.

Sulla questione è lapidario il giudizio di Luca Borgomeo: “In materia di tutela l’Italia è in Europa un “sorvegliato speciale”: più di una volta il nostro Paese ha dimostrato di essere filo-emittenti, che da noi godono di maggior libertà che in altri Paesi. Venti anni di concentrazione del potere mediatico hanno compresso la libertà d’informazione e ritardato la diffusione della banda larga e della media education, con un indebolimento della tutela dei minori. Negli ultimi anni si sono fatti passi indietro con la complicità di governi che hanno fatto gli interessi di Rai e Mediaset, formalmente un duopolio ma nei fatti un monopolio con mancanza di concorrenza e omologazione dei contenuti della tv pubblica a quella privata e con scadimento dei contenuti stessi”.

Come ricorda Franco Mugerli “Il Comitato ha più volte evidenziato al titolari del Ministero dello Sviluppo Economico la necessità di un adeguamento della normativa italiana alle disposizioni europee in tema di tutela dei minori”, senza tuttavia ricevere un riscontro positivo. Nel novembre 2011 il passaggio di consegne fra il governo Berlusconi e il nuovo governo guidato da Mario Monti, offre l’opportunità di rammentare al nuovo esecutivo, ed in particolare al neo Ministro per lo Sviluppo Economico, Corrado Passera, l’esigenza di correggere la normativa e il rischio di incorrere nella procedura di infrazione della Commissione Europea.

Sarà l’ultimo atto del Comitato guidato da Franco Mugerli, in quanto dal 23 dicembre 2011 si conclude il mandato dei rappresentanti delle Istituzioni presenti nel Comitato Media e Minori. Il Comitato non è più in grado di operare. Seguiranno due anni di totale paralisi per il mancato rinnovo dei componenti. Durante il governo Monti, in piena tempesta economica, non sembrò una priorità, e in segno di protesta, di fronte all’archiviazione da parte dell’Agcom dell’ennesimo procedimento avviato su segnalazione del CNU, l’allora Presidente del CNU Luca Borgomeo si dimise. “Rimaniamo esterrefatti – scriveva Borgomeo in una nota – dall’archiviazione da parte dell’Agcom del procedimento nei confronti di “Fisica o Chimica” di Rai4. Quando avremo la possibilità di leggere le motivazioni del provvedimento, decideremo come reagire. Ora registriamo, ancora una volta, la scarsa considerazione che l’Agcom ha dei cittadini-utenti. L’Agcom dimostra di fare gli interessi delle emittenti. A questo punto invitiamo i telespettatori a non rivolgere più al Garante le loro denunce. D’altronde anche l’Agcom ha grandi e dirette responsabilità per la mancata ricostituzione del Comitato Media e Minori (bloccato da 15 mesi !)”. A luglio 2013 finalmente il Comitato viene ricostituito, ma le ragioni del ritardo che ha privato i minori dell’organismo preposto alla loro tutela non sono mai state rese note. Il nuovo Comitato riprenderà i lavori ad ottobre, guidato dal Professore Maurizio Mensi.

Il tema del necessario adeguamento della normativa italiana a quella comunitaria non passerà inosservato ad un esecutivo nato per rispondere ai dettami europei in materia economico-fiscale. Nel giugno 2012 con il decreto legislativo n°120 il governo Monti aggiorna le disposizioni precedenti con particolare riguardo al Decreto Romani, dichiarando che le modifiche approvate uniformano le norme italiane con la disciplina comunitaria e recepiscono gli orientamenti espressi dal Comitato per la tutela dei minori.

In vero il decreto accoglie due importanti rilievi sollevati ripetutamente dal Comitato: il divieto assoluto per le trasmissioni televisive che possono nuocere gravemente allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, salve le norme speciali applicabili solo ai servizi a richiesta; e una chiara segnaletica durante l’intera durata del programma, in caso di trasmissione di contenuti inadatti ai minori. Inoltre il testo conferma l’obbligo per tutte le emittenti di osservare il Codice e di applicare misure specifiche di tutela nella fascia oraria di programmazione 16.00– 19.00. Tuttavia il nuovo impianto non risolve le antiche criticità, perché stabilisce tutele più stringenti ma allo stesso tempo offre ampie deroghe alle stesse, e sono in molti a considerarlo addirittura peggiorativo. Riguardo i contenuti gravemente nocivi, se da un lato la diffusione è ora vietata in modo assoluto nelle trasmissioni in chiaro, dall’altro, grazie alla disponibilità del parental control, viene consentita sulle pay-tv a tutte le ore. A questo riguardo invece il Decreto Romani ammetteva la distribuzione di contenuti gravemente dannosi solo tra le 23.00 e le 7.00 e la Direttiva SMA la vieta sia in chiaro che sulla pay-tv, con l’unica eccezione per la tv su richiesta. Rispetto ai contenuti nocivi, ivi compresi i film VM14, si confermano le disposizioni precedenti che in presenza del parental control consentono la trasmissione sia in chiaro che a pagamento a tutte le ore. L’unica novità consiste nella previsione del bollino rosso fisso e non più solo all’inizio del programma, e di un avviso dell’annunciatore.

“Il Governo fa un passo avanti e uno indietro – commentava il CNU in un comunicato – Un passo avanti perché viene introdotto l’obbligo di “una chiara segnaletica” durante l’intera durata della trasmissione di contenuti inadatti ai minori. L’aspetto negativo è che si chiede ai genitori di agire da segugi nei confronti della televisione (peraltro oggi usufruibile anche attraverso altre tecnologie, vedi il web). Il genitore dovrebbe essere sempre a fianco dei figli per attivare di volta in volta il parental control. È evidente che la complessità della vita quotidiana delle famiglie impedisce ai genitori di affiancare i propri figli costantemente e in qualunque luogo. È quindi auspicabile un ripensamento da parte del Governo che porti le emittenti televisive ad assumersi la responsabilità dell’esclusione tassativa dei programmi nocivi ai minori di 14 anni nella fascia oraria 7.00/23.00. Ma tutti noi sappiamo che ci sono grandi interessi in gioco: vedi la possibilità di trasmettere film vietati ai minori di 14 anni, anche in fasce orarie, quelle diurne, sino a ieri escluse. Lo diciamo in punta di piedi: il Governo sembra aver fatto un grande favore (economico) alle emittenti e ai produttori, mettendo sulle spalle dei soli genitori una responsabilità enorme che, per oggettive ragioni di tempo e di presenza in famiglia, difficilmente riusciranno ad esercitare”. Con l’approvazione del D.lgs. 28 giugno 2012, n. 120, pubblicato sulla G.U. il 30 luglio 2012, si è concluso l’iter delle modifiche al T.U. sui servizi audiovisivi e radiofonici. Se le emittenti possono trarre pieno vantaggio da questa “liberalizzazione” e con l’alibi del parental control diffondere i loro programmi in orario di maggior ascolto e introiti pubblicitari, a farne le spese sono i minori, che perdono le loro già deboli e insufficienti tutele. Inoltre, la responsabilità della cura dei ragazzi viene scaricata completamente sulle famiglie, che non di rado assistono impreparate e sorprese per quanto viene trasmesso in tv e che, alle prese con il parental control, devono scontrarsi con una classificazione carente e contraddittoria, diversa a seconda dell’emittente, e con uno strumento di difficile applicazione ma facilmente aggirabile.

8 Liquidata l’Associazione Tv e Minori, a rischio l’operatività del Comitato
Converrà qui aprire un’altra breve parentesi nella storia del Comitato, per dar conto degli ostacoli che ne hanno segnato il percorso anche nella sua “seconda vita”, dopo la paralisi durata due anni. Episodi che hanno messo a repentaglio l’efficacia, l’indipendenza e le terzietà dell’organismo. Fra questi, nel marzo 2014, il licenziamento dei componenti della segreteria che da oltre dieci anni assicuravano l’operatività del Comitato provvedendo all’attività organizzativa e amministrativa dello stesso, con il conseguente fermo, seppur temporaneo, di tutte le attività.

Era il 5 marzo 2014 quando l’Associazione Tv e Minori, costituita da Rai (42,5%), Mediaset (42,5%), HMC (5%), Areanti-Corallo (5%), e FRT (5%) allo scopo di garantire l’attività del Comitato Media e Minori, decideva la propria liquidazione, licenziando in tronco i quattro dipendenti impiegati nella segreteria. Il loro compito era quello di raccogliere dal pubblico le segnalazioni delle infrazioni per portarle all’attenzione del Comitato. Un costo insostenibile, a quanto pare, per le imprese televisive: “Già da tempo le emittenti non trovavano giusto finanziare gli stipendi dei dipendenti” spiegava sul momento il neo presidente Maurizio Mensi dando conto degli oneri a carico delle due maggiori emittenti: “80mila euro all’anno per Rai e 80mila per Mediaset”. Contestualmente furono azzerati anche i rimborsi per i trasporti e le spese a disposizione per convegni e pubblicazioni. Dal canto suo, in una nota ufficiale, il Comitato Media Minori assicurava che la liquidazione dell’Associazione non avrebbe compromesso né l’esistenza del Comitato né le sue attività, che invece proseguivano “nella rigorosa e imparziale applicazione delle regole del Codice”. Ma la misura ebbe l’effetto concreto di rallentare fortemente i lavori, alimentando i timori di una possibile cessazione delle attività, con grave danno per i minori bisognosi di tutela.

Solo in seguito il Sottosegretario allo Sviluppo economico, Antonello Giacomelli, incontrando il Presidente Mensi assicurò che il MISE avrebbe provveduto a “garantire la gestione del segretariato del Comitato, con proprio personale qualificato, assicurandone la piena ed immediata operatività”. Ma nonostante le rassicurazioni pervenute, furono in molti a considerare illegittimo il licenziamento del personale di segreteria: sia perché era il Codice stesso a prescrivere che le emittenti firmatarie “si impegnano (…) a costituire tra esse un’Associazione con lo scopo di garantire il funzionamento sul piano operativo e finanziario del Comitato di applicazione, compatibilmente alle disponibilità di ciascun soggetto”; sia perché i dipendenti dell’Associazione venivano sostituiti con personale in carico al Ministero, seppur in numero inferiore.

“La scelta di sostituire i quattro lavoratori licenziati con altri lavoratori è un comportamento contrario a tutte le regole sindacali e alla coscienza democratica delle persone – commentava Luca Borgomeo – Al di là degli aspetti legati alla legittimità del provvedimento, di cui dubito, significa depotenziare l’attività del Comitato”.

Rispetto all’Associazione Tv e Minori e al rapporto col Comitato, va detto infine che il sistema di sostegno logistico, operativo e finanziario previsto dal Codice negli anni può aver messo a rischio l’indipendenza del Comitato: “Certamente ha introdotto grande ambiguità il fatto che i giudicati pagassero il comitato giudicante – osserva ancora Borgomeo – finora il Comitato è sempre stato condizionato nel comminare sanzioni e prendere decisioni verso quei soggetti che ne finanziavano l’attività: per farlo bisognava chiedere permesso all’Associazione, con una evidente confusione di ruoli. Piuttosto – propone il Presidente dell’Aiart – per essere autonomo il Comitato deve essere finanziato dalla fiscalità generale».

Ma veniamo alla più stretta attualità: l’aggiornamento non più rimandabile del Codice Tv e Minori.

9 L’aggiornamento del Codice: le emittenti scrivono da sole le regole
“La nuova disposizione legislativa sul parental control non solo sta cambiando la programmazione televisiva e il suo impatto sulle giovani generazioni, ma pone una seria ipoteca sull’efficacia del Codice Tv e Minori e sull’attività del Comitato”. Dopo l’approvazione del decreto a firma del governo Monti, l’ultimo in materia di servizi media audiovisivi, l’ex presidente Mugerli si interroga sul ruolo del Comitato e sul valore delle sue attività, soprattutto in prospettiva futura: “Se qualsiasi programma televisivo può di fatto essere trasmesso in qualsiasi ora del giorno e se il Codice viene di fatto disatteso da questo decreto, il Comitato Media e Minori come potrà operare? Proprio un ripensamento del Codice nell’allargamento dello stesso anche ad altri media ha costituito una terza direttrice di lavoro del Comitato in questi anni”.

Lavoro che finalmente sembra esser giunto ad uno stadio avanzato. Dopo anni di dibattito, non sempre fruttuoso, il processo di aggiornamento del Codice, che recepisce le ultime novità legislative, sta per essere completato. “Un Codice moderno e aggiornato – si legge nel comunicato ufficiale – consentirà al Comitato di poter meglio affrontare le sfide poste dalla convergenza e multimedialità, per un rinnovato impegno nella tutela dei minori”. Ma non mancano tuttavia forti criticità, di metodo e di merito, evidenziate nelle osservazioni al testo formulate in particolare dai rappresentanti degli Utenti presenti nel Comitato.

Rispetto al metodo, forte contrarietà ha suscitato la decisione delle emittenti (Rai, Mediaset, La7, FRT, TV2000, Viacom International Media Networks Italia S.r.l. a nome del Gruppo Viacom., Discovery Italia S.r.l., Aeranti-Corallo, REA e RTL 102.5) di procedere in autonomia all’elaborazione del nuovo Codice, senza coinvolgere nel dibattito e nella stesura del testo i rappresentanti delle Istituzioni e degli Utenti, chiamati a produrre solo in seguito osservazioni scritte. “ Non si capisce perché – è il commento di Domenico Infante, membro per conto dell’Aiart – dal Tavolo di preparazione della bozza di Codice, siano state escluse di proposito le componenti Istituzioni e Utenti (…) E’ vero che l’attuale Codice è stato messo a punto dalle emittenti nel 2002, ma la successiva legge Gasparri ha reso tale Codice legge dello Stato per cui non esiste più l’esclusività delle emittenti e sarebbe stata più propria la sede tripartita del Comitato. D’altra parte – continua Infante – le emittenti hanno dimenticato che il primo Codice di autoregolamentazione TV e Minori è stato fatto e sottoscritto nel 1993 con la firma della FRT con le 150 televisioni locali, le reti Mediaset e le 21 associazioni di utenti, consumatori, insegnanti e genitori interessate alla tutela dei diritti dell’infanzia. Pertanto (…) meglio sarebbe stata una discussione in sede di Comitato perché una proposta unitaria di tutto il Comitato avrebbe espresso le esigenze di tutti, certamente, nel rispetto delle prerogative delle emittenti”.

Quanto ai contenuti del nuovo Codice, si sottolinea una spiccata genericità dei temi trattati. Osservano gli Utenti: “appare molto sfumata la parte dei principi generali, che non erano, come si potrebbe credere, ”affermazioni di principio generiche”, avendo nei fatti costituito un riferimento utile per molte sanzioni del passato. (…) Inoltre, nel preambolo non si specifica e chiarisce l’importante tema dei rapporti tra Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed il Comitato; assolutamente da definire più compiutamente la previsione di cui al punto 2.2, laddove ciascuna emittente si impegna ad adottare “un sistema di segnalazione in relazione alle caratteristiche dei programmi che viene reso noto all’utenza mediante apposite comunicazioni, con le modalità più idonee alla natura del servizio”; gli impegni relativi alla qualità della programmazione per i minori, sono espressi in termini difficilmente verificabili e non è presente nessuna previsione di controllo operativo sul rispetto di tali impegni, né con l’indicazione dei soggetti competenti, né delle procedure e modalità di verifica; è assolutamente generica e velleitaria la previsione di campagne di sensibilizzazione e di diffusione del Codice, in assenza di correlate disponibilità finanziarie”.

Secondo gli Utenti altri aspetti critici riguardano nell’ordine:

“Competenze e i poteri del Comitato. Non è più prevista la possibilità di sospendere il programma”.
“Composizione del Comitato. L’eccessivo squilibrio tra le componenti (ben 12 rappresentanti delle emittenti su 24 complessivi), vanifica qualunque sia pur esile azione di tutela da parte della componente utenti (6 membri). La preoccupante previsione è aggravata dalla disposizione che riserva l’indicazione dei supplenti ai soli rappresentanti delle emittenti e associazioni di categoria, contrariamente a quanto previsto attualmente”. Secondo l’Aiart “18-21 membri in totale potrebbero bastare altrimenti ci sarebbe ingovernabilità e poca efficienza nei lavori del Comitato”.
“Classificazione dei programmi. Non sono previsti dei correttivi che consentano una classificazione del programma “nocivo” e “gravemente nocivo” davvero efficace. Inoltre non è più prevista la possibilità che il Comitato contesti la classificazione effettuata dalle emittenti. Forse sarebbe opportuno che le emittenti certificassero i programmi con dichiarazioni palesi di conformità del prodotto mediale (…). Risulterebbe così facilitato il lavoro del Comitato che dovrebbe valutare lo scostamento tra contenuti trasmessi e quelli certificati”. Al riguardo l’Aiart aggiunge che una soluzione simile era “già proposta il Consiglio nazionale degli utenti con delibera n. 15 del 7 maggio 2007, con l’approvazione esplicita delle 25 associazioni aderenti e 15 esterne, in rappresentanza della quasi totalità di questo mondo. Inoltre, la proposta fu approvata con deliberazione anche da varie Istituzioni, centri di ricerca, ordini professionali e sindacati. La delibera del CNU è riportata integralmente al termine di questo saggio.
“Partecipazione di minori ai programmi. Il nuovo Codice non raccoglie le casistiche che sono emerse negli ultimi anni (…) Si tratta, in particolare, dell’eccessiva esposizione di bambini e ragazzi ad esibizioni “adultizzate”, spesso canore, che pur senza essere grottesche sono tuttavia inadeguate all’età dei ragazzi. Né vengono previste modalità più corrette di utilizzazione dell’immagine, fissa o in movimento, dei minori all’interno di programmi di informazione o di intrattenimento”.
“Fascia protetta. Tenuto conto dell’evoluzione dei tempi e dell’impossibilità di garantire efficacemente per tutti la funzione del cd. “parental control” (perfino il servizio pubblico non se ne è ancora dotato), sarebbe opportuno estendere la fascia protetta sull’intera giornata, almeno nei giorni festivi”.
“Comunicazioni commerciali. Al Punto 9.3 d), l’impegno a evitare la pubblicità dei giochi d’azzardo è limitato “all’interno dei programmi direttamente rivolti ai minori” e non è previsto anche nelle interruzioni pubblicitarie immediatamente precedenti e successive, come nel caso del punto a)”.
“Trasparenza/tracciabilità dei procedimenti e dei verbali. Il Codice dovrebbe prevedere in modo più esplicito che ogni procedimento che prende avvio da una segnalazione sia reso noto su web, o attraverso altre risorse comunicative, sia per la generale valenza culturale che potrebbe assumere questa forma di pubblicità, sia perché proprio sulla notorietà dell’eventuale risoluzione si basa l’efficacia dell’azione del Comitato”.
“Programmazione sui portali web. Occorre individuare misure di autoregolamentazione per la tutela dei minori adeguate alla nuova piattaforma, in considerazione anche del fatto che sul web hanno scarsa efficacia misure che adottano il sistema delle fasce orarie. Occorrerebbe anche affrontare il problema del segnale criptato delle trasmissioni con contenuti gravemente nocivi, che non attiverebbe automaticamente l’oscuramento sui device utilizzati dai minori, quali desktop, tablet o smartphone”

In particolare, l’Aiart ripropone molte delle suddette criticità e aggiunge che, a fronte del mutamento dello scenario tecnologico, con la sempre maggiore integrazione fra piattaforme diverse e il cambiamento delle modalità di fruizione dei contenuti, spesso riprodotti anche nel formato digitale, il lavoro di aggiornamento avrebbe dovuto condurre ad “unificare le competenze di Tv e Minori e Internet e Minori in un unico Comitato Media e Minori”. Obiettivo che risulta disatteso. Inoltre, secondo l’Aiart:

“È bene che si pervenga ad una classificazione dei programmi nocivi per i minori (art. 2), ma sarebbe opportuno che questa classificazione sia fatta dal Comitato (come avvenne per i gravemente nocivi); tuttavia, anche se la faranno le emittenti, la classificazione deve essere unica per tutte e condivisa con il Comitato”.
“Oltre alle riserve da sempre manifestate sulla inefficiente omologazione dei decoder installati presso i telespettatori nella prima fase del passaggio al digitale terrestre, non si può dare per scontato l’attivazione della tutela tramite parental control visto che, allo stato attuale, la Rai, e non sola, non è dotata di sistema per l’invio di segnale criptato per l’oscuramento del televisore a mezzo del parental control. Per stare in regola la Rai dovrebbe decidere di non dare mai trasmissioni nocive. Quindi, l’articolo formulato non rispecchia la realtà fattuale”.
“Il comma 6.5 dell’articolo 6 sembra solo caratterizzato da buone intenzioni in quanto non ci risulta attualmente funzionante, o messo a punto, nei servizi non lineari, un sistema che possa attivare il parental control su PC, tablet o smartphone”.
“É strano che non si sia colta l’occasione per conferire più potere e autonomia al Comitato attraverso la previsione di un maggiore potere sanzionatorio che conferirebbe, allo stesso Comitato, maggiore credibilità e potere di intervento”.

Gli Utenti individuano in generale anche aspetti positivi della bozza in esame, fra cui:

“Le emittenti dimostrano di “prendere in carico” il contenuto audiovisivo proponendosi di segnalarne la criticità anche quando passasse ad altre piattaforme (ad esempio su una web tv)”;
“Apprezzabile il proposito di chiarire i termini per la classificazione della categoria del programma “nocivo”: era stata una battaglia delle componenti utenti-istituzioni della precedente consiliatura ed è positivo che anche le emittenti ora convergano su questa necessità”;
“Positiva anche la previsione di cui al punto 5.4, laddove le emittenti “con particolare riferimento ai programmi di informazione in diretta, si impegnano a garantire l’aggiornamento e la sensibilizzazione non solo dei giornalisti, ma anche dei tecnici (fotografi, montatori, ecc) alla problematica media e minori”. Infatti, soprattutto negli show, spesso il linguaggio tecnico e la regia possono molto per favorire un maggior rispetto dei minori”;
“Le emittenti confermano l’impegno “a curare la qualità della traduzione e del doppiaggio delle produzioni audiovisive, tenendo presenti le esigenze di una corretta educazione linguistica dei minori””;

Rispetto all’iter di approvazione del nuovo regolamento, il 28 luglio 2015 il Comitato rendeva noto di aver trasmesso al Sottosegretario alle comunicazioni lo schema di un nuovo Codice Media e Minori, elaborato dalle Emittenti in seguito ai lavori del Tavolo tecnico insediato nel 2014. Insieme al Codice venivano inviate le osservazioni formulate dai rappresentanti degli Utenti presenti nel Comitato. Per entrare in vigore, le modifiche del Codice debbono essere recepite con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, previo parere della Commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza.

10 I nodi irrisolti
Dopo anni di lavoro e di confronto in seno al Comitato Media e Minori e con gli interlocutori esterni, il sistema delle tutele dei minori nel mondo dei media sembra essere addirittura più carente di quello che si intendeva migliorare. Ad oggi i nodi irrisolti restano numerosi:

Serve giungere ad una classificazione condivisa dei contenuti, che riguardi non solo quelli “gravemente nocivi” ma anche quelli “che possono nuocere”, i film “vietati ai minori di 14 anni”, etc;
È necessario predisporre un sistema di segnalazione efficace dei contenuti che aiuti le famiglie/utenti nella scelta dei programmi/film di cui fruire insieme ai minori, ed è opportuno che tali elementi di segnalazione accompagnino per intero la durata dei contenuti sensibili;
Urge semplificare il sistema e responsabilizzare le emittenti imponendo ai produttori di autocertificare che i loro programmi sono conformi alle norme e rispettano il codice. Il Comitato rileva le eventuali discordanze, interviene e sanziona duramente e direttamente;
Come proposto dal CNU e approvato da 50 enti e associazioni, sarebbe auspicabile conferire al Comitato un potere sanzionatorio diretto, non più differito all’Agcom;
Visti i limiti oggettivi del parental control, è necessario individuare un sistema filtro per oscurare ai minori la visione di contenuti lesivi per i minori che sia veramente efficace;
Sul parental control, sarebbe auspicabile dare seguito alla proposta del Comitato guidato da Franco Mugerli, che prevede l’installazione a priori del filtro su tutti decoder e televisori, da eventualmente sbloccare con un codice apposito (parental code);
Ogni intervento regolatorio dovrebbe tener conto della convergenza dei media: serve un sistema che prescinde dalla piattaforma e uniforma le direttive per tutti i media e in tutti i Paesi: lo dice la Commissione Europea, molti Paesi in UE sono più avanti dell’Italia;
Il nuovo Codice resta carente: servono nuovi principi ispiratori della tutela dei minori;
Nella bozza del nuovo Codice in esame, non c’è alcun riferimento alle modalità attraverso cui sarà garantito il funzionamento sul piano operativo e finanziario del Comitato Media e Minori: funzione in passato espletata – come previsto dal vecchio Codice – dall’Associazione tv e Minori, costituita da Rai (42,5%), Mediaset (42,5%), HMC (5%), Areanti-Corallo (5%), e FRT (5%) , e nel 2014 liquidata, con il conseguente licenziamento del personale ivi assunto al servizio del Comitato;
Il Codice resta sconosciuto per la maggior parte degli utenti. Sarebbe auspicabile portare a termine il progetto di rilancio del sito internet del Comitato su cui si lavora da anni ma che non ha ancora visto la luce: una piattaforma indispensabile per dare visibilità alle attività e alle risoluzioni del Comitato a difesa dei minori;
Indispensabile promuovere l’educazione ai media. Su quest’ultimo punto in particolare, piace qui concludere questa trattazione con le parole dell’ex Presidente del Comitato Media e Minori Franco Mugerli, che a fronte del fragile sistema di tutele per i minori, sul quotidiano Avvenire, il 31 luglio 2012, sottolineava la necessità di investire sul fronte culturale. «Se le norme di tutela si allentano ancora più determinante resta l’educazione. Occorre tornare a riscoprire quel desiderio di bello, giusto e bene che alberga dentro di noi. Solo in questo modo sapremo suscitare nei ragazzi la capacità di giudicare se ciò che viene rappresentato dai media corrisponde o meno alle esigenze del nostro cuore”.

WEBGRAFIA
1. http://www.unicef.it/Allegati/Convenzione_diritti_infanzia_1.pdf
2. http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=344
3. https://www.radioradicale.it/scheda/210982/convegno-sul-tema-televisione-e-minori-benefici-e-rischi-valutazioni-giuridiche
4. http://www.cittanuova.it/c/436858/A_rischio_il_Comitato_media_e_minori.html
5. Comitato Media e Minori , Rivista bimestrale 1/12 (2012) http://www.consumersforum.it/files/in_evidenza/Elementi_di_consuntivo_2011_Media_e_MInori.pdf
6. “La Parabola” n.° 29, Aiart – Associazione Spettatori (Settembre 2013) https://www.aiart.org/public/web/documenti/3812013919164946Parabola_29.pdf
7. D.lgs. 15 marzo 2010, n. 44 http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2010;44 8.http://www.copercom.it/home_page/file_e_dossier/00000527_Tv__ombre_lunghe_sul_parental_control_.html
9. http://www.censis.it/10?shadow_ricerca=118876
10. Direttiva SMA http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32007L0065:IT:HTML ; http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:32010L0013:IT:HTML 11. http://www.europarl.europa.eu/sides/getAllAnswers.do?reference=P-2010-0329&language=IT ; http://leg16.camera.it/465?area=22&tema=222&Servizi+di+media+audiovisivi+#paragrafo1573