Intervento di Massimiliano Padula

Intervento di Massimiliano Padula all’Assemblea Nazionale dell’Aiart tenuta a Roma il 30 gennaio 2016 prima dell’elezione del nuovo Comitato di presidenza nazionale.
Ho conosciuto l’Aiart nel 2003 da neolaureato. Sono passati 13 anni, durante i quali ho fatto una serie di esperienze. Oggi, insegno all’università lateranense e mi occupo di comunicazione sia a livello professionale che di ricerca. L’Aiart per me è stata, seppur in maniera sfumata, una compagna di viaggio; una bussola e un riferimento importante. Io non sono un militante ma ‘probabilmente’ lo sarò a vario titolo. I punti sostanziali su cui voglio riflettere sono tre: la partecipazione (nel senso che è difficile trovare persone); viviamo nell’era della cultura partecipata e questo è un ‘paradosso’ perché è comunque difficile recuperare persone. Quindi l’Aiart , secondo me, deve abitare la cultura partecipativa e quella digitale e lo deve fare, a sua volta, come media; l’Aiart deve proporsi come un mezzo e lo deve fare attraverso un’azione che inglobi una ‘rieducazione alla visione’. Che vuol dire educare alla visione? Vuol dire scorporare, sottolineare tutti quei passaggi nuovi a livello di percezione. La tv è inglobata nel web. Pensate ad una trasmissione televisiva: io posso guardarla tutta oppure guardarne uno spezzone ed è sicuro che la percezione sarà totalmente differente. Quindi l’Aiart deve ‘rieducare alla visione’, deve riformare lo spettatore, deve rimodulare l’utente dei media. Attraverso un processo di rieducazione alla visione, secondo me, si può lavorare anche in termini di tutela. Alcuni giorni fa vedevo un video dove una sedicenne picchiava selvaggiamente una tredicenne (credo in Sicilia): il dato inquietante, oltre all’atto di violenza, era il contorno, ovvero i ragazzi che non intervenivano mentre qualcuno addirittura filmava; dopo un paio di giorni ho letto la notizia che questa sedicenne era stata denunciata . Quindi è proprio questo il passaggio da fare: i social o i media a 360 gradi possono essere un ambiente critico in cui sviluppare e promuovere anche negatività ma possono anche essere delle opportunità e quindi la luce per elaborare, successivamente, alcune pratiche. In conclusione, se non ci fosse stato quel telefonino che riprendeva quell’atto di violenza, quella sedicenne non sarebbe mai stata denunciata.

L’Aiart deve anche provare a capovolgere la prospettiva. “La discontinuità nella continuità” è, secondo me, l’elemento più opportuno e significativo da cui ‘non ripartire’ ma appunto ‘continuare o discontinuare’.

Grazie.