La criminalità minorile influenzata dai mass media

Di Roberto Thomas dal sito del portale on-line Polizia Penitenziaria del 18 aprile 2016

La comunicazione costituisce il fondamentale processo umano di trasmissione delle informazioni sia direttamente, da un soggetto ad un altro, mediante parole e gesti, che, nel significato mediato, per il tramite di messaggi inviati dai diversi mezzi di comunicazione (lettere, telefonate, giornali, radio, televisione, cinema, trasmissione elettronica mediante internet).
Il predetto termine nasce dal latino communicatio, che deriva, a sua volta, dall’aggettivo communis, che significa comune a tutti, come appartenenza alla stessa umanità. Della comunicazione diretta si è già accennato in questa Rivista (nel numero 230 del luglio/agosto 2015), dove ho sintetizzato la mia teoria psico-pedagogica della comprensione affettiva a proposito di siffatta comunicazione.

Qui si parlerà di quella indiretta che, a mio parere, è fra le cause che possono originare i comportamenti criminali degli adolescenti, per il suo potere invasivo realizzato dall’informazione di azioni aggressive e violente.

Invero la crisi della famiglia – con la sempre maggiore “evaporizzazione” dei ruoli genitoriali a causa dei conflitti familiari e degli orari prolungati di lavoro – e della scuola – che ha perso il suo fine fondamentale di educazione, limitandosi a quello della mera istruzione – ha prodotto un progressivo distacco affettivo temporale degli adolescenti, con gravi ricadute psicologiche e emotive per questi (“i miei genitori li vedo poco, sono sempre fuori a lavorare ed io mi sento spesso solo …vorrei che fossero più presenti, anche se dopo diventassero più ’rompiballe’ …la scuola che noia ! …vale solo per farsi una tiratina di ’fumo’ con i compagni…” ).

I numerosi studi psicologici sull’impatto della visione da parte degli adolescenti di immagini di violenza criminale sui mass media tradizionali, mediante i giornali (in particolare i fumetti “neri”), la televisione o il cinema, non sono giunti ad un risultato univoco sulla potenziale imitazione effettuata dai giovanissimi di ciò che abbiano visto. Infatti, da un lato, si sostiene che la visione di scene di violenza possono indurre nei minori un senso di riprovazione morale a tal punto da costituire un argine sicuro contro la sperimentazione da parte loro delle medesime riprovevoli azioni. Dall’altro, vi è la tesi opposta – a cui aderisco convintamente – che, soprattutto per le personalità già in una condizione potenzialmente depressiva, vi può essere un’attrazione fatale, subendo il “fascino” del crimine al fine di emularlo nella realtà. A riprova della prima tesi si cita l’esempio delle generazioni che hanno subito la violenza e il terrore della seconda guerra mondiale e che ne sono risultate fortificate nel carattere, resistendo ai gravissimi patimenti subiti dalla guerra.

In particolare per i minori, nati nell’immediato dopoguerra, si citano anche i giochi dei bambini improntati alla guerra appena finita con l’uso di armi di latta (spade, pugnali ecc. ) e fuciletti ad aria compressa che sparavano piccoli proiettili di gomma (cosiddetti gommini), assai pericolosi per l’integrità degli occhi dei bambini (di questo sono stato un diretto testimone quando, a sei anni , giocando alla guerra con mio fratello maggiore Gianfranco, un gommino del suo fuciletto mi colpì all’occhio sinistro, solo sfiorando miracolosamente l’iride, che se colpita mi avrebbe causato la cecità: quanti pianti si fece Gianfranco perchè mai avrebbe voluto farmi del male, povero fratello mio che sei scomparso così prematuramente ! ).

Di più si ricordano, sempre a favore della prima tesi, i film dell’epoca che riproducevano nelle loro trame le terribili vicende belliche, ovvero i popolari film westerns pieni di pistolettate ed uccisioni. Certamente ciò che rendeva innocuo (se non addirittura educativo) per i minori la visione di tali film stava nel fatto che la violenza trasmessa nelle immagini, non era generalmente una pura crudeltà in sé e per sé, per il gusto di essere violenti, ma era, per lo più, ispirata al canone del suo uso per far trionfare il bene sul male, la legge sul crimine, come, ad esempio, i film western dove il cattivo – fosse il pistolero rapinatore di banche o il crudele pellerossa scotennatore dei poveri bianchi – finiva per morire, ovvero i film di guerra – dall’antica Roma a quelli di “cappa e spada”, per finire ai film ambientati nelle due guerre mondiali – ove i difensori della patria trionfavano sempre.

In altre parole vi era, di norma, la visione di una violenza educativa, esercitata per la difesa dei più deboli, e della Patria (uno dei tre valori fondamentali dell’epoca, insieme a Dio e alla famiglia ) in pericolo, che si poteva, anzi si doveva, imitare. Pertanto al dilemma se la trasmissione di immagini violenti da parte dei mass media tradizionali (radio, televisione, cinema) possa o meno indurre i minori, per la loro fragilità, alla imitazione di tali comportamenti devianti, mi pare che si possa rispondere che sussiste un concreto e probabile rischio emulativo, anche se non la certezza assoluta. A tal proposito Albert Bandura , nel suo scritto “Social Learning throug imitatio”, Nebraska Symposium om Motivation, Lincol, Nebraska University, 1962, pagg. 211-369 e nel suo libro “Social Learning Theory”, Englewood Cliffs, N. J., Prentice Hall,1977, getta le basi della teoria dell’apprendimento sociale attraverso l’introiezione che gli individui ricevono mediante l’imitazione dei modelli culturali appresi in famiglia e dalla televisione o dai film. In particolare egli rileva che la violenza non costituisce una qualità innata dell’essere umano , ma viene appresa dai bambini emulando dei modelli aggressivi recepiti dai loro genitori, ma anche provenienti dai mass media in generale, pure qualora sussiste nel soggetto la coscienza della loro riprovazione , in quanto possono subentrare varie forme di meccanismi psicologici che si riportano tutte al “disimpegno morale” che fa evaporare il senso etico che già si possiede con una simulata giustificazione del comportamento aggressivo posto in essere.

La tesi, invece, di chi sostiene, la non rilevanza emulativa dell’adolescente rispetto alla visione di scene di violenza provenienti dai mass media tradizionali, rileva anche l’utilità di una siffatta visione per prevenire azioni similari di reato, in quanto l’informazione concernente i delitti commessi dagli adolescenti e, soprattutto, quella della relativa sanzione irrogata all’autore del reato, dovrebbe dissuaderli, per paura, dal commetterli. Però tale considerazione, a mio parere, costituisce un’arma a doppio taglio: se, da un lato, può scoraggiare i coetanei del soggetto attivo del delitto dal commettere reati analoghi, per il timore della pena del carcere minorile, realizzandosi , in tal maniera, una prevenzione generale, dall’altro, può incentivare proprio la commissione di delitti della medesima natura, per la possibilità di un forte potere emulativo negli adolescenti, in relazione alla loro fragile ed influenzabile personalità, a causa dell’amplificazione di siffatte azioni criminali mediante i mezzi informativi che, sovente, senza consapevolmente volerlo, le mitizzano agli occhi degli adolescenti, facendo superare loro anche il timore della sanzione in cui potrebbero incorrere.
Si pensi, ad esempio, al caso concreto del fenomeno dei sassi lanciati dai cavalcavia da gruppi prevalentemente composti da minorenni annoiati e frustrati, sulle automobili di passaggio, che coinvolse l’intero nostro Paese, cagionando anche dei morti, diversi anni fa. In quel periodo, giornali e telegiornali, quasi quotidianamente, stampavano i loro “bollettini di guerra” sul precitato fenomeno, con grandissimo risalto mediatico, cagionandone una diffusione pericolosissima fra i giovani, a livello di imitazione e stimolandone l’ebbrezza della trasgressione.

Dopo che i mass media, finalmente, cessarono di dare una smodata rilevanza a tale “gioco” pericoloso (grazie anche al sistema di autoregolamentazione della stampa, previsto nella Carta di Treviso del 5 ottobre del 1990, con l’intento di disciplinare i rapporti fra infanzia ed informazione, salvaguardando il diritto di cronaca, però contemperandolo con la responsabilità del rispetto dei diritti e dell’immagine dei minori, cui deve essere sempre garantito un serio anonimato, per evitare qualsiasi curiosità ingiustificata nei loro confronti; Carta aggiornata il 30 marzo 2006 con la sua estensione all’uso dei mezzi di comunicazione digitale da parte dei minori) e, altresì, al fatto che le autorità eressero delle alte reti di protezione su moltissimi cavalcavia, il tragico fenomeno ludico è praticamente scomparso nel nostro Paese !!!

Del resto la legislazione italiana, aderendo in un certo senso alla nostra preoccupazione, ha già giustamente previsto, a tutela della riservatezza del minore che delinque e di quello della vittima minorile del reato – ma, crediamo, anche per evitare una eccessiva curiosità morbosa, che comporterebbe certamente dei fenomeni emulativi da parte di altri adolescenti – l’obbligo per gli organi d’informazioni di non pubblicare immagini , né dati anagrafici dei medesimi (ex art. 50 e 130 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 ). Da quanto detto, pur non volendo mettere alcun bavaglio alla libertà d’informazione , espressione della libertà di pensiero, prevista dall’art. 21 della Carta Costituzionale, che, al secondo comma, prevede che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure”, occorre ribadire il rischio che una eccessiva sottolineatura a ripetizione, da parte dei mezzi d’informazione, delle notizie criminis riguardanti i minori, possa essere recepita da questi in senso abnorme, che li induce a soddisfare il proprio senso di egocentrismo, soffrendo una specie di frustrazione, qualora non le imitassero (se l’hanno fatto loro e sono diventati “famosi”, perché non posso farlo anche io ?), e condurli alla commissione di comportamenti penali simili.

Riprendendo e ampliando il predetto dilemma (pericolo o meno di emulazione minorile) sugli effetti mistificativi della realtà derivanti dall’uso della comunicazione che avviene attraverso i nuovi mass media digitali autogestiti (personal computer, smartphone, tablet ) – e cioè quei mezzi di trasmissione d’informazioni di massa usati individualmente dalla stragrande maggioranza dei minori, per molte ore al giorno, mediante l’uso della rete internet – si deve rilevare che il loro uso, soppiantando di fatto gli strumenti tradizionali di comunicazione (radio, televisione, cinema), ha la peculiarità di non essere, come quello per i precedenti, un mero sistema di ricezione di informazioni passive, bensì costituisce un mezzo di trasmissione individuale di messaggi, attraverso il web, al pubblico globale della rete , in una forma di interazione reciproca, tale da costituire un meccanismo di creazione di sempre nuove ed autonome basi informative autogestite dai minori che navigano in rete (cosiddetti internauti). Pertanto i soggetti che vi partecipano mediante la rete, in particolare i minori, possono essere considerati “chatto – formati” (per l’assonanza con le socials chat che collegano al mondo globale ) e altresì “ricetrasmittenti”, in quanto – al pari degli apparecchi radio ricetrasmittenti – da un lato, ricevono il messaggio (che può essere comprensivo di immagini) leggendolo sul loro computer, dall’altro, scrivendo sulla tastiera (“chattando”), trasmettono il loro messaggio (che possono unire con immagini ) da condividere con gli altri internauti . Viene a crearsi così un gigantesco spazio virtuale, che si estende per l’intero mondo informatizzato, di centinaia di miliardi di comunicazioni che interagiscono fra di loro in tempo reale.

Nasce, per così dire, una televisione globale che si implementa costantemente e liberamente attraverso le informazioni interattive dei suoi utenti dislocati nel nostro pianeta, che la gestiscono autonomamente con il semplice uso del loro personal computer . Questa produzione globale del “sapere informatico” da parte degli internauti che ne sono anche, al tempo stesso, i diretti fruitori – mediante quella che ho definito la ricetrasmittenza dell’informazione della rete-, da una parte, ha prodotto una possibilità di conoscenze straordinarie , assolutamente impensabili prima, che ha fatto progredire in maniera esponenziale tutte le scienze umane mediante l’elaborazione dei loro dati in tempo reale, dall’altra, però, essendo assolutamente libera e incontrollata, ha avuto anche delle ricadute negative, soprattutto per gli utenti minorenni, per quanto concerne l’accesso ai numerosissimi siti informativi dal contenuto propagandistico di estrema violenza e sopraffazione umana. Invero l’“Indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2012”, redatta da Telefono Azzurro ed Eurispes, ha messo in evidenza gli inquietanti dati che il 33,9% degli adolescenti frequenta siti pornografici; il 19,3% accede a quelli che incitano alla violenza ; il 13,1% visitano i siti che affermano l’odio razziale; il 12,1% si collega con quelli che invitano a commettere un reato; il 9,9% frequenta quelli in cui si esalta l’anoressia e il 4,9% visita i siti in cui si danno consigli su come suicidarsi.

Ciò ha aperto ha aperto un enorme e pericoloso spazio irreale – una vera e propria mistificazione della realtà come fosse riflessa in uno specchio distorsivo – assai dannoso per tutti i minori per la loro nota fragilità . Invero non può nascondersi, fatte queste premesse, che un potenziale grave rischio di inquinamento mentale possa derivare dai contenuti violenti contenuti nella rete, in cui spesso viene esaltata la modalità della violenza per la violenza, soprattutto in rapporto alla fragilità emotiva dell’adolescente, e, conseguentemente, al rischio concreto di un comportamento emulativo.

Ne esce un quadro assai preoccupante, in cui in nessun modo si possono considerare le precitate dinamiche telematiche come assolutamente neutre , bensi incidenti in maniera assai invasiva sulla formazione della personalità dell’adolescente: ecco perchè mi sembra appropriato definire il computer come “chatto formatore” di una generazione “chatto formata”, in quanto spesso sostitutivo delle due tradizionali agenzie educative primarie, e cioè la famiglia e la scuola, entrate, come si è già detto , in un circuito di grave crisi identitaria.

Da quanto detto sopra mi sembra importante affermare che, alle tradizionali cause che motivano il delitto studiate in criminologia, occorre aggiungerne una nuova, e cioè l’uso invasivo del computer – che definerei “la sindrome da computer”- diffusosi progressivamente negli anni novanta del secolo scorso, che, nato come mezzo di trasmissione di comunicazione globale (come fosse un telefono potenziatissimo), è diventato anche, tramite internet, un formatore culturale di coscienze nel bene e nel male . Credo che in molti casi siffatta sindrome possa definirsi una vera e propria dipendenza, dal punto di vista della salute mentale, anche se il nuovo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5), redatto dall’associazione degli psichiatri americana (APA), uscito negli Stati Uniti nella primavera del 2013, non lo cita fra le oltre 400 “nuove dipendenze”, fra le quali vengono elencate fenomenologie assai meno allarmanti quale, ad esempio, l’astinenza da caffè.

A tal proposito mi piace ricordare, condividendone pienamente il contenuto, quanto scrisse il compianto Cardinale Carlo Maria Martini durante un suo discorso : “I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un’atmosfera , un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di immagini, di suoni, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell’acqua. E’ il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi.” .

La mia certezza sul rischio dell’imitazione per i minori a seguito di un “bombardamento” dell’informazione di comportamenti devianti – soprattutto per quella di natura informatica – sembra essere stato condiviso sempre di più dai gestori dei mass media, al fine dell’autolimitazione dell’uso dei mezzi informatici, con l’approvazione di un codice di autoregolamentazione, intitolato “Internet e minori”, promosso dal Ministero delle Comunicazioni, dedicato specificatamente ai sistemi di trasmissione telematica in rete, che ha visto la luce nel settembre del 2003 (pubblicato dalla fondazione Ugo Bordoni ). Ne è seguito, altresì, la ricerca e l’uso, da parte dell’autorità statuale (tramite la polizia postale), di filtri, relativi ad informazioni sensibili, disposti a livello centrale sul funzionamento del generale sistema informatico, a tutela del pubblico dei minori.

Da ultimo mi piace riportare le testuali affermazioni tratte dalla prefazione del X Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza , redatto da Telefono Azzurro e Eurispes secondo cui: “Le moderne tecnologie dovrebbero facilitare la libera espressione di sé e della propria creatività, non ingabbiarla nella routine e nell’autoreferenzialità improduttiva. Dovrebbero favorire l’incontro – un incontro aperto e sincero – non la chiusura o un confronto vuoto o mascherato con il mondo esterno. Le tecnologie multimediali potrebbero costituire, anche per i ragazzi, un’enorme risorsa da sfruttare al meglio. Ma non sempre accade. Anzichè essere stimolati a comunicare più agevolmente in tempo reale, disimparano l’italiano con il codice “sms”. Anzichè utilizzare i social network per esprimere opinioni, pensieri e passioni, alcuni li banalizzano con la sintesi e la futilità – si pensi al “cosa stai facendo in questo momento” e al “ mi piace non mi piace più” di facebook – mentre la possibilità di incontrare e conoscere altre persone talvolta si riduce alla logica dell’accumulo (avere 400 “amici” virtuali e non sapere cosa farne). In questo senso proprio facebook uno dei maggiori fenomeni propri degli ultimi anni (vi partecipa il 71,1% degli adolescenti) rappresenta un nuovo esempio emblematico delle potenzialità spesso sprecate dei nuovi media.”