Un severo monito alla Rai allo sbando

Il severo giudizio dell’Osservatore Romano sulla infausta sequela di sconcertanti fatti che hanno segnato “L’anno che verrà”, il programma di fine d’anno della Rai. L’emittente di Via Mazzini sostanzialmente tradisce il ruolo di servizio pubblico che le è stato assegnato. Di Luca Borgomeo dall’editoriale del numero 37 della rivista trimestrale dell’Aiart La Parabola.

La televisione è allo sbando. Questo il severo giudizio dell’Osservatore Romano del 2 gennaio 2016 sulla infausta sequela di sconcertanti fatti che hanno segnato “L’anno che verra’ ”, il programma di fine d’anno della Rai. (il countdown con quasi 1 minuto d’anticipo, tante scurilità e una bestemmia ). Per la Rai – già sommersa dalle critiche sulle faraoniche spese sostenute per allestire il programma e sulla loro scarsa trasparenza- è questa un’altra pagina “nera” della sua lenta, ma continua decadenza, segnata dallo scadimento dei programmi, dalla perdita di ascolti, dallo smarrimento della funzione di servizio pubblico e dalla dissipazione non solo di ingenti risorse finanziarie, ma anche di un prestigioso patrimonio di cultura e di professionalità.

La netta e inequivocabile presa di posizione dell’Osservatore Romano ha un grande significato perché di Rai e di televisione, in generale, nei media italiani si parla poco. Molto poco.

Questa “sordina” sulla televisione è comprensibile nei programmi televisivi: in TV si parla, (spesso a vanvera), di tutto; non solo di aspetti importanti della vita sociale, economica e culturale del nostro Paese e del mondo intero, ma anche di aspetti di scarso significato, di nessun rilievo, di limitato interesse. Un esempio per tutti: le interminabili e ricorrenti trasmissioni, su ricette, piatti e fornelli e i continui, spesso morbosi approfondimenti di fatti di cronaca nera e di violenza.

Nei programmi non si parla quasi mai dei problemi della TV; mai, in uno dei tanti talk-show che affliggono continuamente i telespettatori si è parlato della TV. E’ un tema da non toccare! Non è azzardato ritenere che questo “silenzio” sia indotto dalla consapevolezza che è oggettivamente difficile parlare “bene” della TV e, quindi, meglio stendere un velo pietoso e, semplicemente, non parlarne. Della serie, la bottega va sempre difesa.

Questa non è un’opinione, un giudizio; no, è una mera constatazione. Un dato incontrovertibile.

Purtroppo a questo “silenzio” della TV fa riscontro un altrettanto, più preoccupante, scarso rilievo che la stampa quotidiana, in generale, riserva alla televisione e alla Rai in particolare.

Non ci riferiamo, ovviamente, allo spazio dedicato dai quotidiani, ai singoli programmi, ai personaggi televisivi, all’andamento degli ascolti, ecc. : rileviamo che ai problemi fondamentali del sistema televisivo italiano è dedicata scarsa attenzione. Un esempio recente: la riforma della Rai, – tanto sbandierata dal Governo nonostante sia oggettivamente del tutto inutile – ha interessato i quotidiani quasi esclusivamente per il “pasticciaccio” del canone e l’accentramento dei poteri nella nuova figura dell’Amministratore delegato. Tutto qui. Nessun quotidiano, in generale, ha messo in evidenza che parlare di riforma era una vera e propria falsità: una riforma che non scalfiva nemmeno di un’acca, la struttura monopolistica Rai- Mediaset del sistema radiotelevisivo italiano, sancito dalla famigerata legge Gasparri (del 2004!): che non si metteva in discussione l’obsoleto sistema di rilevazione degli ascolti, finalizzato quasi del tutto ad assicurare a Mediaset e Rai la posizione dominante nel mercato pubblicitario televisivo. Su questi temi silenzio assoluto. Come se i problemi dell’informazione dell’intrattenimento e dello spettacolo del sistema televisivo fossero insignificanti e non avessero effetti notevoli sul degrado culturale, morale e sociale di un’intera comunità.

E così la stampa quotidiana finisce, forse involontariamente, per “sostenere” la Rai, la televisione nel suo complesso. E’ un giudizio troppo severo? Forse. Ma come spiegare allora che raramente i quotidiani riprendono le critiche che alla Rai e alla TV quotidianamente rivolgono i telespettatori? Indichiamo, così per esempio, alcuni “silenzi”.

Nessun quotidiano ha evidenziato le critiche rivolte dall’Aiart e dal Consiglio Nazionale Utenti all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni sull’ “autonomia” di Mediaset e della Rai.

Nessun quotidiano ha dato spazio alla denuncia dell’assurda adesione della Rai -servizio pubblico- finanziato dal canone e dalla fiscalità generale- alla Confindustria, l’associazione privata del settore industriale, che certamente non ha tra le sue finalità i temi dell’informazione e dello spettacolo.

Nessun quotidiano ha dato spazio all’annosa questione della “liquidazione” del Comitato Media e Minori da parte di Rai-Mediaset, sostenute esplicitamente dall’Agcom e dal Governo, del tutto assente nella delicata vicenda, come se la tutela dei minori utenti dei media fosse del tutto irrilevante. Un altro inequivoco segnale della volontà del Governo di lasciare tutto il campo libero al monopolio Rai-Mediaset consolidato nel cosiddetto patto del Nazareno.

Nessun quotidiano ha ripreso con evidenza la denuncia, documentata da uno studio dell’Aiart, che i minori italiani -utenti dei media- sono i meno tutelati in Europa, al punto che non è esagerato affermare che i minori in Italia non sono affatto tutelati.

E l’elenco dei “silenzi” potrebbe continuare.

Ne cito soltanto un ultimo, di minore importanza, ma significativo: riguarda il programma di Rai 1 “Ti lascio una canzone”.

Tutte le Associazioni di telespettatori, tutte le associazioni di genitori, tutte le associazioni di famiglie, tutte le associazioni di consumatori hanno giudicato “negativo e diseducativo” il programma e chiesto alla Rai di sospenderlo.

Anche il CNU-Agcom ha espresso un giudizio negativo e così i più autorevoli studiosi dei problemi dell’età evolutiva e la stessa critica televisiva. Si può affermare che l’intera comunità nazionale, quella che si chiama la società civile, giudicava dannoso e pericoloso per i minori il programma.

La Rai, imperterrita è andata avanti: non ha degnato di una risposta l’Aiart, né il CNU e –nonostante tentativi dispendiosi per “arricchire” il programma con artisti e personaggi di grande richiamo- ha dovuto registrare un clamoroso calo di ascolti e di share e la umiliante sconfitta nel confronto con il programma “concorrente” di canale 5 in onda nella stessa prima serata! Al danno si è aggiunta la beffa! Di tutto ciò nei quotidiani, nemmeno una parola.

Sarebbe interessante individuare le motivazioni di questa “sordina” dei quotidiani sulla Rai e sulla TV, non potendo assolutamente ricercarla soltanto nel fatto che la Rai è un centro di potere economico e politico e che può pertanto essere “utile” ai vari quotidiani, ai direttori, ai giornalisti in termini di pubblicità, di “visibilità” nei talk show e nei programmi, di collaborazioni, di “spazi” nelle rassegne stampa. Tutto si tiene. Se fossero queste le motivazioni sarebbe grave, molto grave.

Ma, comunque, avrebbe una maggiore gravità- con effetti ancor più rilevanti sul degrado culturale, morale e sociale dell’Italia- la sottovalutazione da parte della stampa quotidiana dell’influenza sempre crescente nell’era della comunicazione, dei media e della TV in particolare, sullo sviluppo di un’intera comunità e sul consolidamento di principi e valori, capaci di assicurare la democrazia, la giustizia, la solidarietà, la civile convivenza dell’intera comunità.

E’ sulla base di queste considerazioni che l’Aiart ha espresso viva soddisfazione per la dura critica dell’Osservatore Romano che con un’espressione “forte” – e forse inusuale per il quotidiano della Santa Sede – ha così interpretato il disagio dei telespettatori italiani: “La Rai allo sbando”.