Il Canone: l’unico “segno” del servizio pubblico Rai

Si pagherà nella bolletta elettrica. Una soluzione ambigua e pasticciata, decisa non solo per contrastare l’evasione, ma soprattutto per fare cassa e correre in soccorso alla Rai. La demagogica campagna di propaganda del Governo che, sprezzante del ridicolo, usa lo slogan “l’energia della tv”. Di Francesco Giacalone
Alla fine il Governo ci è riuscito. L’obiettivo di imporre il pagamento del canone Rai a tutte le famiglie italiane è stato raggiunto. Mancano poco più di quattro mesi al debutto, eppure il nuovo canone Rai desta perplessità su più fronti.

Dopo gli affondi delle associazioni dei consumatori, tocca ad Assoelettrica lanciare l’allarme. Ed è un messaggio pesantissimo, perché toccherà far pagare la tassa in bolletta. Secondo Chicco Testa, presidente dell’associazione che raggruppa le imprese elettriche italiane, «il rischio è che si arrivi impreparati alla scadenza del prossimo luglio». Il motivo principale? “Le imprese devono predisporre i necessari sistemi informatici per emettere le nuove fatture modificate, occorre chiarire una lunga serie di problemi che ancora non sono stati sciolti, dalla questione dei ritardati pagamenti, alla morosità, dall’eventualità di un cambio di fornitore ai pagamenti parziali, dai reclami ai contratti non residenti”.

Quante volte nelle ultime settimane i conduttori dei tg hanno ripetuto, al termine dei notiziari, che il canone si pagherà in bolletta? Non solo: da parte della Rai sembra palese mettere in risalto che adesso l’importo del canone è stato ridotto. Verissimo! Tutti sanno che nel 2016 il canone annuo ordinario è stato infatti ridotto a 100 euro, dai 113,50 del 2015. Ma rimane ancora troppo elevato! Secondo molti esperti, per mantenere il gettito invariato l’abbonamento avrebbe dovuto essere di 77 euro, 83 se restasse un’evasione del 7%”. Gli introiti per la Rai saranno dunque elevatissimi.

Sette milioni di contribuenti negli ultimi anni infatti avevano deciso appositamente di non pagare la tassa più odiata dagli italiani visto che su 23 milioni di famiglie interessate, solo 16 milioni sono state in regola con il versamento.

In attesa della stangata, meglio ricordare che il canone deve essere pagato da chi ha un apparecchio adatto a ricevere le trasmissioni tv o ha un’utenza elettrica dove risiede; l’inquilino che abita stabilmente in una casa arredata con tv, anche se non è lui il proprietario dell’apparecchio; gli abbonati alla tv via satellite, anche se non guardano canali Rai (l’obbligo deriva dal possesso dell’apparecchio); i residenti all’estero che hanno una casa in Italia con televisore.

Sono invece esclusi (per fortuna) gli over 75 con un reddito proprio e del coniuge che non supera 6.713,98 euro all’anno; chi ha una seconda casa con la tv (può versarlo una sola volta per tutti gli apparecchi dei luoghi dove abita); chi ha un computer senza sintonizzatore tv (la visione dei programmi via internet non è soggetta al canone). E, ovviamente, gli intestatari di un’utenza elettrica che non hanno la tv.

In proposito, dal 2016 non è più prevista dalla legge la disdetta dell’abbonamento tramite “suggellamento” degli apparecchi, ma si deve presentare una dichiarazione di non detenzione degli apparecchi: ha validità per l’anno in cui è presentata e comporta una responsabilità penale in caso di falsa dichiarazione.

Sembrerebbe utile, secondo i soliti burocrati, non fornire autocertificazioni anticipate, ossia prima che arrivi la richiesta indebita del pagamento del canone. La dichiarazione di non detenere apparecchi, infatti, deve essere resa nelle forme previste dalla legge, con modalità da definirsi con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Ci si espone a responsabilità penali nel caso di dichiarazioni false. Peccato nuovamente che le modalità di presentazione devono ancora essere chiarite.

Ma quanto può essere utile, al giorno d’oggi, parlare di canone? L’ex ‘grande azienda culturale del Paese’ si è trasformata in qualcosa di diverso. Non ha più tre canali, ma 15 reti, ed è su quella misura che bisogna fare adesso i conti. La ristrutturazione delle linee editoriali delle tre reti generaliste – secondo il critico televisivo Aldo Grasso – ragiona su criteri analogici, smentiti ogni giorno dalle pratiche di visione degli spettatori.

Non solo: dai recenti “errori temporali”, bestemmie in diretta e altre oscenità del capodanno, alla continua produzione di programmi fotocopia con i soliti personaggi, alla costante ricerca degli ascolti ad ogni costo, questa azienda mostra oggi tutte le rughe di un’anziana signora che si “traveste” da ventenne.

Non si contano le volte in cui, negli ultimi anni, abbiamo sentito parlare di una Rai che deve cambiare. Direttori Generali e presidenti che si sono succeduti hanno sistematicamente annunciato il nuovo corso come l’occasione per una svolta.

Programmi “vuoti” come “Affari Tuoi” sono un chiaro esempio di un intrattenimento che la Rai dovrebbe abbandonare. Ancor peggio, le copie dei programmi mediaset(Forum in primis), i reality, le soap opera, le fiction semi-demenziali, e il fondo del barile di techetecheté hanno fatto trasparire segnali davvero preoccupanti. E non dimentichiamo “Ti lascio una canzone”, con lo sfruttamento dei bambini per attrarre gli spettatori. Sui giornali e sul web si afferma,dunque, la convinzione che i programmi della Rai siano diventati imbarazzanti, non solo per gli ascolti, ma per la pessima qualità dei contenuti. Non bastano, ad esempio, due serate con Benigni per riscattare la mancanza di temi culturali sulle tre reti generaliste, almeno che non si considerino gli sfortunati prodotti televisivi di arte, teatro, musica e cinema che vanno in onda a notte fonda o all’alba. Per trovare il profumo del servizio pubblico talvolta bisogna affidarsi sempre a La7 o a Sky. E’ uno scandalo che coinvolge soprattutto tutti i consiglieri di amministrazione della Rai che sembrano vivere nel piacevole torpore da “consenso”. Ma ormai sembra svanito anche quello.

Il canone in bolletta sembra dunque l’ennesimo “pasticciaccio” all’italiana, l’ultimo disperato tentativo di far arrivare l’ossigeno ad un malato inguaribile.