Corso di Genova 6-7-8 Novembre 2009

Gli atti e le relazioni sul tema: “L’emergenza educativa. La responsabilità dei media”

Il resoconto e gli atti del corso di formazione nazionale di Genova del 6-7-8 Novembre 2009. Si riportano le locandine con il programma dettagliato dei lavori nella Tregiorni.

Cartoncino invio corso Genova con programma lavori

Venerdi 6 Novembre
“L’emergenza educativa e la responsabilità dei media” è stato il tema trattato e dibattuto diffusamente nella grande e bella Sala Quadrivium che la Curia Arcivescovile di Genova ha messo a disposizione dei convegnisti.
I lavori, come è di consuetudine nelle Tregiorni residenziali di formazione organizzate dalla presidenza nazionale dell’Aiart, si sono avviati nel primo pomeriggio di Venerdì 6 Novembre con i saluti ed i ringraziamenti, del Tesoriere nazionale dell’Aiart dott. Francesco Bellaroto, ai responsabili dell’Ufficio Scuola e per l’Insegnamento della Religione Cattolica, dell’Ufficio per la pastorale familiare e dell’Ufficio Cultura diocesana, per quanto hanno fatto, per la perfetta organizzazione messa in campo, per l’accoglienza che hanno fatto ai soci dell’Aiart e ai corsisti convenuti, numerosissimi, da Genova e da diverse regioni italiane. Bellaroto ha riferito ai presenti le scuse del presidente della Regione Liguria e del Sindaco per la loro assenza, motivata da impegni istituzionali in Turchia. Ha portato il saluto della città, la consigliere comunale dott.ssa Maria Rosa Biggi che, apprezzando l’iniziativa dell’Aiart, ha fatto alcune considerazioni sulle problematiche educative, su quelle della famiglia e sul significato del tema dell’emergenza educativa. Per affrontare con adeguatezza questi problemi –sostiene la Biggi – bisogna avere la capacità di guardare lontano. Ciò implica – a suo giudizio – anche una capacità di accoglienza della città che non ha e non deve aver paura di mettere in campo politiche in tal senso. Peraltro, scendendo nel tema dei media, sostiene che non bisogna percepirsi solo nel presente, nell’immediato, perché si corre il rischio di non essere efficaci nelle problematiche educative facendo, di fatto, prevalere il concetto, di “popperiana” memoria, della TV cattiva maestra. I cambiamenti indotti nella società dalla TV sono più repentini di quelli che si attuano in famiglia. Apprezza l’Aiart che non fa solo pratica di denuncia ma anche azione formativa sugli utenti dei media. E questo è molto importante perché sono i telespettatori che scelgono i canali TV e, quindi, la loro scelta deve essere competente e ragionata, virtù che si acquistano con la formazione. Queste considerazioni portano direttamente alla domanda sul perché gli utenti non promuovono dei programmi intelligenti, belli, positivi; ma il discorso si fa ampio e quindi conclude che inevitabilmente bisogna avere fiducia nell’uomo e nel suo pensiero.

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Il presidente nazionale dott. Luca Borgomeo interviene ringraziando la dott.ssa Biggi per le belle parole usate nei riguardi dell’Aiart, portando il saluto e l’affetto di tutti i soci all’Arcivescovo di Genova S.Em. Angelo Bagnasco.
Il cardinale Bagnasco è lieto e grato all’Aiart per aver organizzato il corso nell’Arcidiocesi di Genova; è stato un gesto apprezzabile, un’attenzione verso la comunità diocesana e l’intera città. Usa parole di incoraggiamento ricorrendo alla metafora della goccia nell’oceano di Madre Teresa di Calcutta: certamente l’Aiart e la Chiesa sono solo una goccia, ma non bisogna sentirsi impotenti di fronte a un mondo ricco di virtualità, che continua a crescere tecnologicamente. Premette che si limiterà solo a fare delle considerazioni. Riafferma la sollecitazione a non scoraggiarsi come persone attive ed operanti nel mondo dei media ma anche come semplici membri delle comunità. Ogni decennio della CEI è scandito da un orientamento pastorale che investe tutte le diocesi: nel 2000 l’orientamento fu “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia“; questo decennio è caratterizzato dalla “Sfida educativa”, tema che presuppone una forte consapevolezza nel ruolo educativo che chiama in causa una pluralità di soggetti. Quando si parla di educazione, si apre un ventaglio di soggetti che convergono verso una sfida che è quella educativa. Come dice il Papa, innanzitutto bisogna crederci, perché il rischio di sentirsi inadeguati o sfiduciati rispetto al compito educativo è grande, perché oggi è difficile svolgerlo, il ragazzo è immerso in una pluralità di voci, ma con grandi contraddizioni che alla fine portano all’individualismo, a farsi gli affari propri, a non ascoltare i genitori. Il compito dei genitori di oggi è molto più complesso e delicato; spesso si arrendono o si sentono smarriti o non sanno da dove incominciare perché chiedono ai loro figli o poco o troppo. La sfida è urgente ed è possibile non solo in termini di incoraggiamento ma a certe condizioni, che è proprio quello che emergerà dagli orientamenti pastorali che portano a guardare e ad avere come riferimento Dio. Il Concilio Vaticano II ricorda, in sintesi, il volto di Cristo che brilla come uomo nuovo e perfetto perché figlio di Dio incarnato e fatto uomo. “Noi, come uomini impegnati nella storia, dobbiamo divulgare i valori del Vangelo ma anche il frutto della sapienza dell’uomo occidentale che spesso, come in questi giorni, è fragile e sembra mancare”. Negli orientamenti pastorali si parlerà di educazione come lievito e sale in senso evangelico in rete, come spesso afferma il Papa, nella sfida della grammatica dell’umano. Se non si mantiene la giusta attenzione, si rischia di perdere valori importanti come il senso della vita, l’amore, la libertà. Il confine tra l’umano e il disumano tocca il tema educativo. Tutti devono sentirsi coinvolti nel tema dell’educare alla fede nella sua umanità e universalità. Bisogna avere e infondere fiducia, riscattare le categorie dell’umano. Non esistono tecnologie e opere educative senza antropologia ed oggi, grazie al Progetto Culturale, è ritornata al centro del dibattito culturale. Quando la Chiesa parla di antropologia, e delle sue connessioni e valori, non tradisce il Vangelo che non abbandona l’uomo anzi lo aiuta. Non si può parlare di Vangelo senza parlare di uomo perché Cristo è venuto sulla terra. L’antropologia è la base dell’azione educativa e formativa della persona e della società , essa sta dentro il Vangelo che è venuto a liberare l’uomo.
Dopo la relazione del card. Bagnasco, Bellaroto presenta ai corsisti il vignettista-umorista Gianni Chiostri che ha accompagnato, lungo tutto il corso dei lavori, il progredire delle relazioni con la creazione e proiezione on-line di disegni rappresentativi dei momenti più significativi.

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Il direttore del Corso, prof. Giovanni Baggio, apre la sua relazione dal tema: “La responsabilità di educare ai media” con una metafora significativa. “Noi educatori siamo dei nani rispetto ai giovani che son dei giganti e che portiamo sulle spalle. Come insegnare ai giganti a introdurre i nani nella loro vita?” Il suo parere è di ripartire daccapo provando a fare grammatica della comunicazione. Ogni adulto ha un ruolo; si tratta di riposizionare la comunicazione su alcune questioni centrali. La casa per l’uomo è un luogo di comunicazione? Il Papa nel messaggio della GMCS del 2009 ricorda che “…le nuove tecnologie digitali stanno determinando fondamentali cambiamenti nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani…soprattutto tra la generazione digitale”: esso costituisce un invito a ripensare la categoria fondamentale dell’umano. Quando si parla di emergenza educativa nella comunicazione è inscindibile il binomio tra comunicazione e relazione. Baggio sottolinea 4 punti fondamentali che legano la comunicazione con la relazione: 1) il desiderio profondo della comunicazione a generare relazioni; 2) il destino dell’andare oltre, il perché comunichiamo, la ragione che ci spinge a farlo; 3) le preoccupazioni e le paure che ci accompagnano; 4) Il nemico, il fraintendimento e la distanza, il vuoto e la fretta che ci caratterizza nella vita quotidiana. Comunicare e cercare identità, l’esercizio del comunicare e del comunicarsi si celebra in maniera convergente. Cercare relazioni, stabilire contatti, provare a sondare l’altro e a scoprirlo portando ciò che si è e consegnandolo a luogo più segreto e intimo, occasione unica per ritrovarsi, anzi per scoprirsi proprio in questo gesto del dono di sé all’altro, della comunicazione del sé all’altro. Quanti giovani consumano una comunicazione che non serve, che non investe nessuno, che non tende alla verità? “Quando facciamo comunicazione della nostra memoria ci si connette alla nostra fisicità, alla nostra intimità, alla verità e alla bellezza delle parole che vogliamo dire; in ciò consiste il dono che vogliamo dare agli altri. Ma su che cosa costruiamo la nostra comunicazione?” Bisognerebbe chiederlo ai media ma, in fondo, ognuno potrebbe, senza volerlo, consegnare agli altri qualcosa che non gli appartiene, che non è la propria identità; su ciò è doveroso riflettere. “Il Papa ci ricorda della nostra dimensione umana, che deve caratterizzarci anche quando comunichiamo e deve spingerci ad andare oltre se stessi”. Gli animali si spostano e gli uomini viaggiano. Ma non tutti sanno andare oltre se stessi nella relazione, sanno viaggiare entro il circolo comunicativo umano. Quando qualcuno chiama bisogna vedere in lui qualcuno che chiama in nome di Dio. Ci sono incidenti della comunicazione quale quello di comunicare i silenzi, di giocare sui fraintendimenti che è l’opposto della comunicazione. Ciò crea distanza, gelo e diffidenza e quindi l’incomunicabilità. La buona comunicazione è quella che arriva al cuore. Di fatto oggi la comunicazione è diventata un bene di consumo piuttosto che essere un sentimento che viene consegnato ad un altro uomo. “Quanta comunicazione frettolosa e vuota abitiamo ogni giorno: da quella famigliare o professionale, a quella televisiva o multimediale, quando non abbiamo nulla da dire, quando la comunicazione diventa solo messaggini, senza senso, non rispettosa, ideologica, violenta e trasgressiva”? Qualche giorno fa sulla questione del Crocefisso il Papa ha invitato tutti ad alzare la riflessione. “In casa non ci siamo solo noi ma anche i nostri figli, ma stiamo diventando sempre più homo videns. Quale genitore si preoccupa che i propri figli mediamente stanno più di 4 ore davanti alla Tv e complessivamente più di 6 ore con i vari media”? Ci si preoccupa delle conseguenze di questo utilizzo? I dati statistici non impressionano, eppure sono gravi, pesanti, potrebbero essere sintomo di problemi di cui non si riesce ad avvertire l’esistenza. Che cosa c’è dietro ogni tecnologia di comunicazione? In Italia si vede più televisione di quanto avviene nel resto di Europa.
Alla fine delle scuole elementari i bambini hanno assistito a circa 8000 omicidi e 100000 atti di violenza. Il consumo televisivo nei minori tra i 12 ed i 14 anni continua ad aumentare. L’uso dei media si verifica alla scuola per circa 200 giorni per 6 ore per un totale di circa 1200 ore e in famiglia per 3 ore per 365 giorni per un totale di circa 1100 ore. I media infatti sono diventati la terza attività per i ragazzi. I figli sono stanchi di essere consegnati a titolari che sono diversi da quelli naturali: scuola, piscina, danza, palestra, ecc. Un esempio è significativo: una bambina di Agrigento alla domanda su cosa volesse fare da grande ha risposto la Tv perché in questo modo avrebbe ottenuto l’attenzione del proprio papà. Da un’indagine svolta a Sassari, alla domanda fatta ai bambini su come volessero passare il tempo libero il 31% ha risposto con gli amici ed il 43% con i genitori. Come si vive oggi l’esperienza della comunicazione in famiglia? Si mangia insieme, si viaggia insieme, si vive insieme, ma non si comunica! I ragazzi non si applicano perché spesso non si consegna loro un senso delle cose che si danno, che si comunicano, non si trasmette la propria testimonianza. In casa entra di tutto e i genitori che fanno? Sono all’altezza di comunicare? Vivendo in questa storia è in questa storia che bisogna vivere con i propri figli. Bisogna insegnare ai figli a fare comunicazione e non a farsi utilizzare dalla comunicazione: è una sfida di senso. Bisogna appropriarsi di un ruolo attivo come cristiani, ricomprendendo gli strumenti di cui ci si deve impossessare. Gli educatori devono comprendere che i mezzi di comunicazione sono freddi mentre personalmente possono trasmettere ai propri allievi e ai figli affetto, passione, emotività, senso delle cose e degli stessi strumenti. Perciò gli adulti devono essere competenti perché gli adolescenti, quando hanno di fronte un adulto competente, dimostrano quanto sia reale e profonda la loro motivazione a stabilire una relazione educativa forte anche contro la loro naturale diffidenza e resistenza tipica dell’età.

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Baggio – La sfida di educare ai media – genova

Si inserisce Chiostri che disegna un bozzetto in cui si vede un telecomando a guisa di scarafaggio, testimonianza di una TV ripugnante.

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La prof. Maria D’Alessio, dell’Università La Sapienza di Roma, apre la sua relazione “La TV e la funzione educativa della famiglia” con una domanda secca: “Ma i bambini per noi adulti sono importanti?” Il motivo di questa domanda risiederebbe nel fatto che alcune ricerche da lei condotte presso La Sapienza accrediterebbero un certo comportamento anomalo dei genitori verso i figli tendendo a sottovalutarli quando fanno loro considerazioni e a sopravvalutarli quando non sono proprio in cima ai loro pensieri. In effetti, a suo giudizio, in passato il rapporto tra adulti e infanzia era più ricco, più comunicativo, pieno di relazioni e di valori, caratterizzato da testimonianze di vita vissuta. Questo cambiamento è intervenuto a partire dagli anni cinquanta. Il fatto che i bambini non sono in cima ai pensieri degli adulti è dimostrato dal fatto che le strade non sono fatte per loro ma per le automobili, le case non sono a misura di bambini ma, per motivi spesso estetici, per il godimento dei genitori, insomma la vita per i bambini è difficilissima. A dimostrazione di ciò se si chiede ai bambini cosa desiderano fare, essi rispondono in senso umano e cioè passeggiare, giocare al calcio, andare in bicicletta, giocare con i compagni. Di fatto i bambini vengono “piazzati” di fronte alla Tv e gli vengono dati solo beni materiali. Le patate, il pane, il vino sono beni materiali protetti, i bambini no! E allora come devono vivere i bambini? Il vero impegno degli adulti deve essere quello di costruire dei media fatti veramente per i bambini, che peraltro in giro non ce ne sono. I media che si trovano in giro sono solo quelli che utilizzano i bambini per fini commerciali, fatti da gente che palesemente, per raggiungere obiettivi lucrativi, violano il codice di autoregolamentazione in varie maniere. La Tv è uno strumento che non ha bisogno di mediatori o traduttori perché è uno strumento diretto ed è facilmente comprensibile e quindi il bambino può usarla da solo. Perché bisogna andare al Don Bosco per trovare qualcosa di adeguato per i bambini? Nel campo dei media c’è l’oggetto, il soggetto ed il contesto: queste tre cose si utilizzano con il controllo senza il quale la cosa non funziona. Quindi se si continua a costruire un mondo in cui non si prevede di far vivere i bambini, non bisogna meravigliarsi che le conseguenze siano quelle che si verificano tutti i giorni: fumo, droga e alcool. I ragazzi vanno in discoteca (che fanno letteralmente terrorismo quando offrono a buon mercato bevande alcoliche) perché non sanno dove andare. Bisogna trovare degli esempi positivi da offrire ai ragazzi cosi come fece Don Bosco. Bisogna creare una progetto di vita, ma quale proposta per i media? Il pubblicitario valuta il suo target preferendo il bambino ed il genitore insieme cosi avrà due fasce di clienti su cui puntare. Ognuno prepara programmi televisivi come gli pare, senza preoccuparsi delle conseguenze, ad esempio Bonolis che nella trasmissione “Chi ha incastrato Peter Pan” utilizza i bambini per far ridere gli adulti. L’educatore è condizionato a fare un percorso lunghissimo e insoddisfacente. D’altra parte un genitore non avendo esempi positivi a sua disposizione si trova in una posizione di debolezza. Volendo fare un caso, ci sono trasmissioni televisive come “Beautiful” (americana) che è un esempio di cattiva televisione e “Un posto al sole” (italiana) che è una buona trasmissione perché “fatta più in casa”. Tutto sta ad avere un progetto per i bambini in cui l’adulto deve avere la predominanza sul medium. Non si può continuare con le corse di oggi (piscina, palestra, danza, ecc.) a fare tutto in fretta e male e senza i genitori che si dedicano ai bambini. La D’Alessio illustra poi alcuni risultati della ricerca condotta alla Sapienza precisando che sono stati somministrati dei questionari ai genitori e ai bambini prendendo in considerazione il pensiero metacognitivo che, quando è alto, è sintomo di maggiore capacità operativa e intellettiva. Illustrando il grafico sul “mio personaggio preferito” evidenzia come il bambino altamente metacognitivo ha un maggior equilibrio di giudizio. Nell’illustrazione del grafico circa “io e il mio personaggio siamo simili” si riscontra un atteggiamento più maturo, certo ed equilibrato nei soggetti più altamente metacognitivi. Passa poi all’illustrazione dei grafici e tabelle relative al quesito “cosa pensano i genitori dei programmi per i bambini”. A tal proposito la D’Alessio rileva che, sostanzialmente, i bambini scelgono i programmi divertentissimi e diversissimi concentrando le loro preferenze su una grandissima varietà. Le curve che scaturiscono, distinte per fasce di età, dimostrano che una parte minoritaria di ragazzi si concentra su pochi programmi mentre la grandissima parte si distribuisce su una vastissima gamma di programmi. E ciò avviene nel momento in cui si concede al ragazzo un tempo ragionevole per cui procede razionalmente nell’elaborazione di una strategia di scelta. In definitiva i pubblicitari, tenendo in considerazione la stratificazione delle scelte, predispongono una strategia di offerta che ben si associa alla strategia di scelta dei ragazzi, caratterizzata da una vastissima gamma di prodotti idonea per tutte le necessità. Quando si chiede ai genitori i programmi televisivi preferiti dai figli, essi dimostrano grande competenza perché riconoscono i loro gusti. Quando, invece, si chiede ai genitori e ai figli il voto che darebbero alle stesse trasmissioni la situazione si divarica perché i gusti sono diversi. In definitiva, a giudizio della D’Alessio, i genitori il loro mestiere lo fanno, tuttavia il salto generazionale rende più difficile questo esercizio. La D’Alessio, a proposito di quali contenuti i bambini devono essere protetti, ha rilevato dall’indagine che i genitori più o meno fanno ancora il loro mestiere a comprendere i figli; i preti non comprenderebbero bene i bambini, ma ancora peggio fanno gli avvocati le cui risposte sono lontanissime da quelle dei bambini. In tal modo gli avvocati, bravissimi a difendere i loro clienti, non sono bravi nella tutela dell’infanzia.

D’Alessio – L’emergenza educativa- Genova – 6 Novembre 2009

Si inserisce Chiostri che disegna un bozzetto in cui si vedono due TV, una con un bambino che ride e l’altra con un adulto/genitore che muore. In altri termini la TV si preoccupa solo di divertire, tanto da far ridere fino al punto da far morire dal ridere.

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Sabato 7 Novembre
Il secondo giorno, Sabato 7 Novembre, i lavori riprendono con il prof. Armando Fumagalli, docente di Semiotica all’Università Cattolica di Milano, con la relazione sul tema “I linguaggi televisivi: trasformazioni ed impatto modellizzante”. Il prof. Fumagalli rileva che gli studiosi individuano due fasi della TV italiana: la paleotelevisione e la neotelevisione; a queste due fasi ne segue una terza che è la televisione digitale terrestre. La paleotelevisione è stata caratterizzata dalla TV monopolio che si trasforma in TV commerciale; in tale periodo non c’era la corsa a farsi concorrenza, le programmazioni erano fatte per la maggior parte degli utenti, la produzione era fatta da poche persone. Negli anni ’80 la TV viene definita pedagogica, non solo le lezioni ma anche l’intrattenimento, c’era maggiore responsabilità sociale. I ritmi della programmazione erano scanditi, la dieta televisiva era bilanciata. Peraltro non trasmetteva in tutte le ore e neanche la notte: sostanzialmente si rispettavano i ritmi di vita della gente. Con la neotelevisione si è verificata l’esplosione al fine di agganciare i telespettatori per offrire un target appetitoso ai pubblicitari. Si sono moltiplicati i tentativi di invadere ogni campo, in ogni ora della giornata, si verifica la frantumazione di ogni genere (da Vespa si vede di tutto e tutti) e la frantumazione dei confini dei generi: i programmi diventano contenitori dove c’è di tutto, non si fanno pause e si fa in modo che ai telespettatori non venga la voglia di cambiare canale.

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Fumagalli entra nel merito della sua relazione riferendo che il mondo del mercato televisivo, da parte degli utenti e dei produttori, è cambiato radicalmente. La gente oggi si è abituata a pagare alcuni contenuti; è il caso di Sky che, peraltro, su alcuni canali vende contenuti pornografici guadagnando molto e di ciò nessuno ne parla. Altro esempio è l’autore di Boing che, essendo padre di 6 figli, si ritrovava una certa sensibilità alle trasmissioni per bambini e quindi ha realizzato delle produzioni adeguate per i minori; quindi, tutto dipende da chi si interessa, dall’uomo. Si va verso la 3^ fase della TV, selezionata e richiesta, dove la gente è disposta a pagare creando, perciò, un rallentamento dell’assalto della pubblicità. Realizzare uno share a due cifre, superiore a 15-20%, per RAI e Mediaset significa fare parecchio in termini pubblicitari. Oggi il panorama è più complesso: esiste la moltiplicazione dei canali, il singolo canale è più importante di una volta, contano molto i contenuti. Con la moltiplicazione dei canali è meno difficile l’accesso ma è più difficile ottenere l’apprezzamento del pubblico e quindi ottenere risultati di eccellenza. In questa fase della TV diventa sempre più cruciale l’opera di chi sfrutta le proprietà intellettuali che vengono utilizzate in mille canali diversi. Cinema e TV non sono cattivi per natura perché ci sono tante cose buone, ad esempio l’ultimo Pinocchio che ha superato in audience il Grande Fratello. Basta fare bene una cosa, carina e ben pensata, che il successo può arridere e godere dei favori degli spettatori. Purtroppo di fronte alla cattiva Tv non c’è niente da fare. Ad esempio il mondo della fiction è fatto solo di gente che si odia, è solo glamour, solo intrecci e bassezze etiche e queste cose avrebbero dovuto rappresentare il nuovo! Sui dati di ascolto a volte si diffondono delle leggende: ad esempio si è detto che “Tutti pazzi per amore” è stato un grande successo, ma non è vero: in realtà i risultati sono stati cattivi e di poco valore. Altre volte si è parlato di insuccesso di alcune opere. Ad esempio del “Pinocchio” di Benigni si parlò di insuccesso solo perché era seguito al grande successo di “La vita è bella”; in realtà Pinocchio ebbe grandi incassi. Quindi è anche un grosso imbroglio psicologico. Fumagalli proietta, poi, alcune scene dei Cesaroni; in una di queste si mette in evidenza un dialogo affettivo tra i due coniugi, personaggi principali. Dal dialogo emerge un’espressione della moglie che ritiene il marito il migliore dei padri. Fumagalli constata che la gente si fa prendere emotivamente dalla scena ma non riesce a giudicare i contenuti del contesto che non sono il massimo per un padre. Il punto è che spesso il buonismo rappresentato e diffuso valuta le cose dandogli orientamenti educativi che non sono veramente il massimo sotto il punto di vista dell’evidenza umana. E’ questo un contenuto ideologico che evidenzia usi distorti di padri che dialogano molto e male con i loro figli, non sapendo dare indicazioni esistenziali corrette, venendo meno ai loro compiti fondamentali.

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Si inserisce Chiostri che disegna un bozzetto in cui si vede un viso paterno sorridente e buonista. Capovolgendo il disegno la figura diventa un pescecane. Nessuna altra metafora può essere più efficace di questo disegno.

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Interviene subito dopo il dott. Domenico Infante, Segretario nazionale dell’Aiart, che tratta il tema “Educazione e diseducazione nella Rete. I social network”. I problemi della navigazione in Rete, che sono tantissimi, oggi si possono sintetizzare in una sola modalità che è quella della partecipazione ai social network. E’ una nuova dimensione narrativa che è entrata con forza nella vita quotidiana ed è il cuore del mondo digitale. Chat, blog e ora i social network sono tutte piattaforme che consentono agli utenti la condivisione di contenuti. Il social network, diventa, pertanto, un grande libro, attraverso il quale mantenere o stringere contatti e condividere la propria vita presente e le proprie storie. Oggi, ed in misura maggiore in futuro, sarà peggio visto che anche il Papa, nell’enciclica Caritas in Veritate, al numero 73, testualmente dice: “Connessa con lo sviluppo tecnologico è l’accresciuta pervasività dei mezzi di comunicazione sociale”. Non si può fare a meno dell’uso dei mezzi mediali; tuttavia preoccupa la miscela esplosiva che si produce quando nei giovani, ai problemi tipici della loro età, si affiancano i pericoli della Rete. Infatti ragazzi soli, che vivono nell’indifferenza e a volte nell’abbandono affettivo-relazionale, trovano soddisfazione nell’esibirsi su YouTube, su Facebook o su altri social network attuando, in alcuni casi, atti sconsiderati o violenti.

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 Infante – Educazione e diseducazione nella Rete. I social network – Genova

Si inserisce Chiostri che disegna un bozzetto in cui si vede un PC con un mouse al cui filo si collega un altro mouse, che è quello di un hacker.

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Il vero problema sta nella generazione adulta che non è capace di avere valori condivisi e quindi cerca la felicità a buon mercato, il successo immediato; e i giovani imitano gli adulti. Manca una assunzione di responsabilità adulta seria ed anche un’alleanza tra gli adulti e le istituzioni per dare risposte concrete alle giovani generazioni. Quando si parla di problemi dei giovani, a ben guardare, sono problemi che investono soprattutto la generazione degli adulti. La generazione adulta precedente, bene o male, sapeva cosa fare, aveva delle certezze; e sta qui il vero problema dell’emergenza educativa. Spesso gli educatori adulti sono smarriti, non sanno che pesci prendere, non hanno le coordinate per muoversi. Esiste un nuovo analfabetismo che riguarda in maniera particolare gli adulti ma che interessa anche i giovani che spesso fanno un uso sbagliato ed anche pericoloso di queste tecnologie. Di fatto i giovani e i giovanissimi, stanno rovesciando il tradizionale rapporto educativo: sono loro i colonizzatori di una frontiera culturale inesplorata; possono solo contare su rare figure di educatori attrezzati che li formino all’uso responsabile di strumenti tanto pervasivi e potenti. Spesso sono loro stessi ad alfabetizzare il mondo adulto che, di fronte a cellulari indecifrabili e a computer affacciati su un mondo ignoto, prende atto di essere tagliato fuori.

Si inserisce Chiostri che disegna un bozzetto in cui si vede un PC portatile che fuma e l’utente che scappa per la paura.

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Ma gli adulti non possono gettare la spugna e devono trovare vie d’uscita. Intanto, i ragazzi, sentendosi soli, si riuniscono sempre più nei social network dove sviluppano relazioni e intrattengono rapporti amicali. Per entrare a far parte di un social network occorre costruire un profilo personale, partendo dal proprio indirizzo postale, ad informazioni personali, agli interessi e alle passioni, fino all’indirizzo e-mail. E’ possibile invitare amici a far parte della propria comunità di appartenenza fino ad allargare la cerchia di contatti con gli amici degli amici in un circolo grandissimo senza confine. Tali ambienti virtuali creano un falso senso di intimità che può spingere gli utenti a esporre troppo la propria vita privata fino a rivelare informazioni strettamente personali che possono provocare effetti collaterali anche a distanza di anni. Il Garante sulla Privacy Francesco Pizzetti ha detto:«Una volta messi sulla Rete, i dati personali di un utente sono difficilmente cancellabili; un numero enorme di persone può conoscere le vostre confessioni più intime e chiunque – aziende private, pubbliche amministrazioni, professionisti, sconosciuti – potrà raccogliere un’enorme quantità di informazioni che vi riguardano e farne l’uso che vuole. Secondo una recente ricerca il 77 % di chi recluta personale, cerca possibili candidati sul web e il 35% di loro afferma di aver eliminato un candidato sulla base di informazioni scoperte navigando in rete. Questo fatto è un ulteriore elemento di riflessione circa l’uso più adeguato dei social network. Di queste situazioni i ragazzi, in prevalenza, non ne parlano con i genitori e neppure con gli insegnanti. Lo scrittore Affinati ritiene che la famiglia sia stata spiazzata dalla rivoluzione tecnologica. Un tempo la casa era il luogo per eccellenza di elaborazione dei valori. Oggi, oltre al padre e alla madre, l’adolescente ha una infinità di interlocutori e spesso non riesce più a trovare una gerarchia dei valori; quando in casa si riesce a parlare non si dialogo ma si grida, si scandisce il discorso in sillabe o, addirittura, si litiga. Ciò che è importante, in particolare per i genitori, è dialogare ponendosi in un ascolto attento e serio, stando accanto ai figli e, se possibile, viaggiando insieme alla scoperta di internet. Il Papa parla di grande emergenza educativa in cui devono cimentarsi i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro, che hanno dirette responsabilità educative, i quali non possono tirarsi indietro. I genitori e gli insegnanti devono incentivare un loro reciproco ruolo formativo, mentre sarebbe anche molto utile fare rete con le associazioni che operano nel campo educativo, senza far mancare, peraltro, uno stretto rapporto operativo con le parrocchie.

Il pomeriggio di Sabato 7 inizia con la tavola rotonda sul tema “Media e tutela dei minori. Ruolo e responsabilità delle Istituzioni e della società civile”. Partecipano il dott. Luca Borgomeo, Presidente Aiart e Presidente del Consiglio Nazionale degli Utenti, l’on. Alessandro Repetto, Presidente della Provincia di Genova, il dott. Franco Mugerli, presidente del Comitato Media e Minori, Don Bruno Sopranzi, Direttore dell’Ufficio Educazione e Scuole – Curia di Genova, il prof. Paolo Lingua, Direttore TELENORD. Il prof. Baggio introduce i lavori ponendo a tutti una domanda: Quanta tutela esiste in Italia per i minori? Don Bruno Sopranzi inizia con una precisazione circa l’affermazione fatta il giorno precedente dalla prof.ssa D’Alessio a proposito della sua asserzione, scaturita da una ricerca, che i preti non capiscono bene i bambini. Non condivide l’affermazione e per sostenere il suo discorso fa ricorso al nuovo messaggio del Papa in occasione della GMCS del 2010, in cui si afferma la necessità dello sviluppo di un ruolo nuovo di cui devono farsi carico gli adulti. Quindi il problema riguarda tutti, come d’altra parte riconosciuto dalla la stessa D’Alessio. Si riferisce poi al discorso del Papa, fatto qualche giorno addietro al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Richiama la figura di Gesù quando sostiene che bisogna farsi bambini per diventare come lui. Riferisce della sua passione per il pensiero e quindi i libri di Jaques Maritain (che è stato uno degli ispiratori del Concilio Vaticano II) del quale c’è una frase famosa che recita: “C’è un grave rischio per l’uomo: è quello di essere asservito alla tecnologia”, parole profetiche dette oltre 50 anni fa! Infine Don bruno conclude che i ragazzi, oggi, non hanno più il senso della meraviglia; lungi dal criminalizzare la tecnologia, ma forse alcune parole della Sacra Scrittura potrebbero meglio far riflettere tutti sulle cose importanti e sul vero senso della vita.

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Il dott. Franco Mugerli, nel suo intervento, spiega i principi generali di tutela dei minori e quelli di funzionamento del codice di autoregolamentazione, nato nel 2002, ma che a tutti gli effetti, dal 2004, ha forza di legge. Si sofferma sulla scheda di segnalazione (contenuta nella brochure del Comitato Media e Minori consegnata ad ogni corsista) evidenziando l’efficacia dell’uso di tale prassi al fine della tutela dei minori dalla programmazione televisiva di cattiva qualità. Talvolta – sottolinea Mugerli – quando si accende il televisore la realtà è veramente scoraggiante. Il Comitato M. e M., pur nei limiti istituzionali che il codice presenta, cerca di fare il suo meglio nella tutela dei minori soprattutto dialogando con le emittenti interessate al fine di far ben modulare la programmazione televisiva. Fa prendere atto alle stesse emittenti delle violazioni commesse pretendendo che ne diano ampia informazione al pubblico. Un esempio significativo dell’azione efficace del Comitato M. e M. si è verificato recentemente in occasione dell’ultima programmazione del Grande Fratello (che, peraltro, in altri paesi non fa più presa) in cui di Domenica, in prima serata, hanno parlato della figura di un uomo che diventa donna. La gravità di questo tipo di programmazione sta nel fatto che la maggiore fascia di utenza del G.F. è costituita da ragazzi dai 4 ai 14 anni che seguono la trasmissione fino ad oltre la mezzanotte. Le norme a tutela dei minori ci sono, hanno, è vero, le loro rigidità ma alla base di questo problema c’è il fatto che i genitori non possono lasciare soli fino a mezzanotte bambini davanti alla TV, di fatto rinunciando al ruolo di responsabilità che compete loro. Chiude con l’auspicio che possano arrivare sul tavolo del Comitato fiumi di fax ed e-mail per segnalare casi di violazione.

Interviene l’on. Alessandro Repetto, che pone una domanda: “quanta consapevolezza c’è a livello istituzionale e di emittenti della tutela dei minori”? Cita alcuni dati che lo preoccupano fortemente per cui riferisce di un’iniziativa che la Provincia di Genova sta portando avanti per la tutela dei minori, che si terrà il 20/11 al mattino, e ciò in occasione della Giornata internazionale dei diritti dell’Infanzia che si celebra il 20 e 21 Novembre. Le situazioni che evidenzia lo portano alla conclusione che oggi, di fatto, non esiste un progetto educativo per far fronte a queste situazioni. Oggi mancano punti di riferimento certi e, peraltro, i giovani non ripongono credibilità negli adulti. Gli adulti di una certa età, bene o male, hanno ancora delle certezze, ma i giovani e i giovani educatori non hanno alcun riferimento. Esiste un’amoralità di fondo che attraversa tutte le fasce: i politici, i professionisti, i giovani, ecc. In definitiva bisogna farsi carico di esercitare un’educazione a 360°; è una sfida educativa che deve superare anche la Tv commerciale.

Il presidente Luca Borgomeo, rispondendo alla domanda posta ai relatori, ne dà un giudizio profondamente negativo e cioè che la tutela dei minori in Italia è debole o addirittura inefficace, sono i fatti che lo affermano ed anche il Censis sostiene che la situazione è peggiorata. Intorno a queste questioni – sostiene Borgomeo – non serve solo “chiacchierare” perché servirebbe solo a costruirsi alibi. Il minore ha diritto ad essere rispettato, ad essere informato correttamente ed eticamente. E poi testualmente afferma: “Quanti di noi hanno fatto segnalazioni di trasmissioni negative”? Fino a quando la società civile non prende coscienza di questo problema e non reagisce seriamente, non si potranno fare passi avanti importanti. Il quadro normativo e tutto il sistema radiotelevisivo è inadeguato e lo sarà fino a quando i responsabili delle comunicazioni non saranno socialmente responsabili; perciò i danni che scaturiscono da questo quadro insufficiente sono molti ed anche gravi. Negli altri paesi europei la situazione è decisamente migliore. Occorre una normativa vincolante per tutti gli operatori radiotelevisivi che devono obbligatoriamente rispettarla; se cosi non è, allora devono scattare sanzioni severe sulle violazioni soprattutto quando queste si ripetono e si moltiplicano. Occorre, quindi, predisporre urgentemente un quadro normativo chiaro e strumenti efficaci per la gestione; tuttavia questa debolezza normativa non impedisce all’Aiart di essere insistente e determinata sul fronte della protesta e della denuncia.
Il dott. Paolo Lingua esordisce con un forte pessimismo perché ritiene che tutto si basi su una condizione di amoralità, conseguentemente vi è un sistema culturale assolutamente inaccettabile. Esiste un degrado morale a cui la Chiesa dovrebbe reagire con più forza (registra un’acquiescenza al capo del Governo assolutamente inaccettabile). La rincorsa è tra TV pubblica e TV privata a livello nazionale alla ricerca di un’audience che è misurata con sistemi assolutamente inadeguati e non affidabili dato il bassissimo campione di famiglie che compongono il sistema di rilevazione Auditel, che per le TV locali è improponibile. Tutto si gioca con immediatezza, i dati Auditel sono manipolabili, l’uso del Meter (il sistema di rilevazione) è approssimato; che cosa succede davanti ai televisori accesi che fanno parte del campione? I tanti televisori accesi in una famiglia chi li guarda? La società sta cambiando, si verifica uno scompaginamento dei vecchi schemi sociali. Infatti il target dei telespettatori del Grande Fratello è composto più da donne che da uomini, sono più numerosi al Sud che al Nord, sono situati più in provincia che nelle metropoli, sono composti maggiormente da persone con un titolo di studio più basso, ecc. Le TV locali sono costrette a dare programmazioni alternative a quelle nazionali (più televendite, oroscopi, giochi e contenuti erotici). A suo giudizio l’argomento andrebbe ulteriormente approfondito.

Nella seconda tornata di interventi della tavola rotonda il prof. Baggio pone ai relatori questa domanda: “Qual è il ruolo dei media, che si cerca di demolire col sistema di tutela e sostituirlo con il socialmente buono e costruttivo?”

Don Bruno Sopranzi, nella replica sostiene che forse bisogna partire da una base di maggiore ottimismo che è una forma radicale di realismo (piove, prendo l’ombrello). L’esperienza cristiana dimostra che la Parola, la Bibbia è una grande esperienza di umanità in cui ci si può trovare con tutte le esperienze di vita. Tra tutte le esperienze certamente il denaro è la radice di tutti i mali, a scapito della persona umana ma soprattutto dei minori. Spesso gli adulti, che parlano di minori, davanti alla TV, sembrano dei minorati. Si dice che oggi quasi tutto è gossip; esso trova giustificazione nella circolarità che viene data da chi lo alimenta, e “spesso da noi stessi – dice Don bruno – o da persone non addette ai lavori che creano e fanno moralismo, fanno opinione pubblica ma non morale: questo è il problema”. L’opinione pubblica può dominare la coscienza; ad esempio nel caso di Eluana Englaro non si poteva rimanere indifferenti (a prescindere dai pareri diversi rispetto a quel dramma), eppure la sera della morte di Eluana ben 8 milioni di spettatori hanno seguito il Grande Fratello. Citando alcune frasi di S. Pietro, che parlava contro i falsi dottori, don Bruno sostiene che bisognerebbe fare un po’ di autocritica come cristiani e anche come sacerdoti. Sempre per riflettere, riporta una citazione di S. Giuda Taddeo che, calandola nella realtà di oggi, sarebbe significativa e di insegnamento per noi uomini duri di cuore. Infine ritiene, con rammarico, che oggi tanti preti della Chiesa, la cui missione principale è l’annuncio del Vangelo, che è lievito e fermento di vita, non assolvendo bene questo compito, si trasformano in annunciatori di culto di bottega.

Il dott. Mugerli, nella replica, mette in evidenza che spesso, nelle istruttorie delle segnalazioni di programmi volgari o comunque che offendono la dignità dei minori, ci si chiede quale tipo di salvaguardia può mettere in moto il singolo che esamina, che è costretto a rilevare le violazioni? Certamente la migliore salvaguardia è quella che può scaturire da ciascun cittadino, a prescindere dai ruoli, cambiando e modificando in meglio quel poco o molto che può a partire innanzitutto da se stesso. Fondamentalmente la tutela dei minori si attua come una sorta di battaglia civile, in cui si deve reagire al fine di evitare che il tutto si risolva solo in una protesta. Il codice di autoregolamentazione è sostanzialmente frutto di co-regolamentazione in cui intervengono più soggetti aventi in comune tre identità: personale, sociale e regole condivise. “Come si può, allora, accettare che nei pomeriggi la RAI realizza trasmissioni con ospiti transessuali o generi simili, sviluppando dibattiti non certamente coerenti con le norme della fascia protetta, ma che soprattutto getta via la propria identità e anche la grande possibilità di trasmettere cose che servono e che sono buone”? Oggi le brutture maggiori sono sulla RAI e ciò nonostante esista un contratto di servizio pubblico e una direttiva europea che raccomanda la tutela dei minori. Non bisogna scoraggiarsi e tutti, cittadini e istituzioni, devono contribuire ad accrescere il livello di tutela. I cittadini non devono stancarsi di segnalare al Comitato M. e M. ciò che va in onda di poco opportuno o offensivo della dignità dei minori. Un esempio è costituito dalla trasmissione “Cosi fan tutte” dove utenti, associazioni e partiti hanno fatto sentire la loro voce ed il Comitato ha chiesto ed ottenuto di far spostare il programma in tarda serata, fuori della fascia protetta. Quindi, occorre reagire, segnalare, protestare; sono diritti che appartengono ai cittadini. Perché non ragionare e provare a creare, inventare dei programmi che possano essere una proposta che dia aiuto alle emittenti? Vale la pena farlo non fosse altro per i propri figli, per far respirare aria buona e non inquinata; essi si aspettano dai genitori, dagli adulti il buon esempio. Occorre giocarsi la carta dell’educazione personale con gli strumenti a disposizione ed un pezzetto in più di responsabilità.

Alla domanda di Baggio: “All’interno dei media quanta consapevolezza esiste di contribuire alla crescita della responsabilità?” il dott. Lingua risponde che i ruoli dei giornalisti e degli educatori sono diversi ma collegati. Per quanto gli suggerisce l’esperienza acquisita in decenni di giornalismo, tutto dipende dagli uomini, dal problema economico, dagli interessi commerciali. A volte è più facile fare un prodotto di qualità che uno per il mercato tout-court. La stampa oggi è in calo, tuttavia il mercato, alla fine, premia sempre la qualità migliore. Borgomeo nella replica si domanda a chi sia consegnata la qualità, la sua risposta è chiara: “non può che appartenere alla responsabilità dei media. Come Aiart si produce il massimo sforzo al fine di spingere, protestare, far scegliere i programmi migliori e penalizzare i peggiori. Molte mamme non hanno mai visto certe trasmissioni in TV, mai navigato in internet o giocato con i videogiochi. Quanti conoscono il CO.RE.COM? Le cose che si stanno affermando in queste giornate non si trovano in TV o nei TG, nessuno dice che l’Auditel è falso, sono televisori accesi e basta”. Delle famiglie che compongono il campione dell’Auditel non si sa niente e non si può chiedere niente per motivi di privacy. Certo questo sistema non facilita il controllo ed il miglioramento della qualità televisiva. Repetto si chiede se al cittadino rimane solo lo scivolo su cui fare lo slalom oppure c’è una speranza di ascolto dalla TV italiana? Ci si è posti nel mondo il problema della pace, ma nessuno si preoccupa di disinnescare la bomba cioè svuotare gli arsenali. Cosi avviene per l’uso critico dei media che è un problema non avvertito perché ci sono problemi educativi più scottanti e gravi quali la droga, l’alcool, il bullismo la cui trattazione fa più scalpore e quindi più audience nell’opinione pubblica. Per parte sua l’Amministrazione provinciale di Genova ha fatto suo il problema dell’uso critico dei media proponendolo alla società genovese. Far conoscere questa realtà significa avere in futuro uomini più liberi, migliori, di pace.

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Dopo la chiusura della tavola rotonda, interviene il Direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della CEI mons. Domenico Pompili. Apre l’intervento con un’affermazione secca: tra comunicazione ed educazione non c’è distanza perché la comunicazione è essenziale dal punto di vista educativo. Il contributo educativo è come uno spot mediale: il nuovo contesto comunicativo ha rimodulato il tutto senza annullare il presente. Conseguentemente non ha più senso parlare solo di TV o solo di PC perché la convergenza digitale ha in qualche maniera unificato il linguaggio e le modalità di uso. Tuttavia questo contesto non ha cannibalizzato la TV. Il Web 2.0 è un mondo che ha a che fare con la comunicazione ed ha annullato la dimensione spazio-tempo. Ciò ha profonde ricadute sull’umano ed il contesto digitale pone degli interrogativi sulla dimensione spirituale. Le modificazioni di questo contesto incidono sul gusto e sul desiderio della realizzazione; se poi con un click si può fare tutto subito, anche il mondo interiore di ciascuno cambia profondamente. Lo stare insieme reale si sta sostituendo con il “contatto”, questo giustifica il desiderio di avere tanti amici su Facebook che, a sua volta, vuole sostituirsi al mondo precedente, vuole essere totalità; il mondo perduto di riferimento si intende sostituirlo con internet che risponde al bisogno simbolico, al bisogno di infinito. Questo mondo magico azzera il teologico e lo spirituale, ma anche l’umano. L’intelligenza e la volontà viene rimodulata dalla pratica di internet; c’è la pratica del “copia e incolla”. Oggi, la logica non è lineare ma è reticolare, si muove attraverso un approccio multiplo. L’intelligenza è plasmata da questi nuovi linguaggi cambiando la percezione del conoscere. Anche la volontà è messa in discussione; si dice che è legata alla ritmicità e immediatezza che consente il mondo digitale. La pervasività dei mezzi di comunicazione aggiungono linguaggi nuovi ai linguaggi preesistenti che si associano alla portabilità degli strumenti e non presuppongono spazio vigilato o presidiato. Che cosa compete a chi deve educare in questo mondo trasformato? Citando una frase di Guardini, in cui si afferma il concetto del migliorare se stessi per dare credibilità alla propria sollecitudine pedagogica per l’altro, mons. Pompili indica come prima condizione per educare il mettersi in gioco, riattivando il dialogo con il mondo giovanile, superando il digital divide per cui di fatto oggi “sono i giovani che insegnano a noi”. Gli adulti hanno la ragione, la mentalità culturale che consente di dare; perciò bisogna avere la capacità di dialogare, imparando dagli stessi giovani e, a loro volta, i giovani apprendere dalla sapienza degli adulti. Mons. Pompili definisce questa mancanza di travaso di esperienza e di cultura tra generazioni con la metafora: “è come se i giovani, trovandosi in un museo, anziché ammirare le opere d’arte passano il tempo a starsene in toilette a fare altro”. Mons. Pompili conclude con una citazione di Seneca in cui si ammonisce l’uomo, se vuole essere tranquillo con se stesso, ad assicurare una cura sollecita e assidua ai giovani.

Si inserisce Chiostri che disegna un bozzetto in cui si vede Seneca che guarda e dialoga col giovane di oggi il quale nella testa presenta il triangolo rosso dei lavori in corso.

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Interviene, a conclusione della giornata, il dott. Marcello Soprani, esperto in laboratorio mediale, del Comitato scientifico dell’Aiart, proponendo ai presenti la conduzione esemplificativa di una serata di teleforum familiare. I casi presentati sono tre. Il primo trattasi della presentazione della “cassetta degli attrezzi” del conduttore di teleforum attraverso l’analisi dello spot Telecom “Gandhi” con la riflessione critica distribuita in vari step ed il supporto di una griglia di lettura. Il secondo caso trattasi della sigla del film Dexter di cui è stata illustrata ai corsisti un’analisi dettagliata. Il terzo caso è molto complesso per la trama del film in discussione, sempre Dexter. Dei due spezzoni del film, che tratta di un serial killer, è stato messo in evidenza l’originalità in assoluto della figura del killer visto dalla parte dei “buoni”. In Dexter si è portati ad immedesimarsi, familiarizzare e solidarizzare con il protagonista e con il suo personale punto di vista sul mondo.

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 Analisi dello spot telecom-gandhi

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Domenica 8 Novembre
Domenica 8, ultimo e terzo giorno di corso, dopo la celebrazione della Santa Messa avvenuta presso l’attigua chiesa di Santa Marta – del XIII secolo ma rivestita nel seicento di una ricca veste barocca – riprendono i lavori con la relazione del prof. Massimiliano Padula, docente della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, intervenuto in sostituzione di mons. Dario Edoardo Viganò. Il prof. Padula, in apertura, afferma che da parte di tutti gli adulti, degli educatori in particolare, occorre prendere decisamente coscienza che i media sono una presenza oggettiva e coinvolgente nella vita di ciascuno. Emergono, in maniera evidente, alcuni elementi particolari quali: mediazione, contatti, relazione e anche scambi biologici, tutti convergenti verso la modificazione della percezione del reale. C’è una prospettiva storica che è inglobante ed è allo stesso tempo fondamentale e propedeutica. La prospettiva sociale e biologica dei media sono la vita stessa dell’uomo e quindi non è separabile da essa; legge una citazione “i media sono un torrente trasparente sotto il nostro controllo” e quindi aprono orizzonti nuovi all’uomo. Esiste una differenza tra gli aspetti sociali e biologici che investono sensi e cervello, percezione e visione del reale. La sociologia offre un sostegno a questa tesi intorno alla quale si prospetta la biomediologia che è cosa diversa, anche se collegata, dalla neuroscienza; questa scenario prospetta un processo evolutivo nuovo. Il divario digitale rappresenta una differenza culturale che nella fattispecie si concretizza con un divario presente nel cervello. Oggi esiste una configurazione sociale distinta in due categorie: i nativi digitali e gli emigranti digitali. I primi sono rappresentati da quelle persone cresciute con le tecnologie digitali mentre i secondi sono quelli che, cresciuti dopo tali tecnologie, le hanno adottate in un secondo tempo. I nativi digitali sono nati intorno agli anni ’90 e abitano un nuovo territorio. In generale oggi si vive in un ambiente mediale che è più ampio ed inclusivo non solo fisicamente ma anche come luogo di elezione identitaria. Un esempio è costituito dalle città che non sono fatte di solo palazzi ma di altri elementi e luoghi mediali. L’identità mediale è insidiosa perché l’ambiente dei media è “transigente”. Padula fa una citazione: “Oggi viviamo in un flusso copioso e incessante di media che…come bocche di fuoco…pervadono la nostra giornata”. E’ transigente perché i media costituiscono un ambiente riscaldato, che rassicura i cuori, rasserena e intorbidisce la mente. E’ un ambiente idoneo ad essere abitato. La seconda considerazione sulla transigenza dei media è nel senso dell’accoglienza, nel senso di abitarlo o di chi lo abitava già e se ne rende conto per cui si integra: è il caso dell’immigrato digitale. Enuncia, poi, alcune definizioni degli ambienti mediali: 1) l’ipertinenza; chi fa uso di flickr si crea la possibilità di combinare o ricombinare l’oggetto (album di foto) in maniera pertinente ai propri interessi. Facebook crea una cultura pertinente perché consente di personalizzare i contenuti culturali. 2) l’iperconnessione che avviene volontariamente (col telefono) o involontariamente (con telecamera); ciò definisce un nuovo rapporto col mondo che può essere visuale o tattile ma che suscita un comportamento di sensorialità. 3) il wireless è senza fili, senza connessione diretta o fisica; 4) l’invisibile che rappresenta il sommerso dell’esistente che diventa invisibile ai presenti. La differenza tra nativi digitale ed emigranti digitali contiene una frizione: le distanze tra loro non sono enormi. I nativi digitali possono essere definiti Gutenberg digitali (citazione) mentre gli emigranti digitali sono in realtà dei Gutenberg mediali. La neuroscienza contiene caratteri e studi che distingue un nuovo campo del sapere. Mauro Wolf, afferma Padula, focalizza i processi di apprendimento legati alla lettura che ha allargato la mutazione intellettuale della specie umana, solo nel giro di qualche migliaia di anni. Che cosa sarà capace di fare la cultura digitale? Ad esempio l’approccio al libro non è istintivo perché il cervello interagisce con un ambiente strutturato che è quello del libro che è strutturato diversamente dal cervello. Questa preoccupazione di Wolf è simile a quella di Socrate che si preoccupava dei danni della scrittura rispetto alla cultura orale: oggi, in qualche maniera, avviene la stessa cosa parlando della cultura digitale. Oggi la jamp generation è una generazione che ha paura dei libri. Non è remissiva, transigente, vuole divertirsi e tutto questo va a scapito della conoscenza e della competenza. Da un lato c’è il divertimento, il consumo, dall’altro c’è l’apprendimento che è rimasto indietro. La lettura è diventata una dimensione di impazienza. La cultura cool (soprattutto americana) caratterizza il nativo digitale; egli rimane sempre in un bozzolo di cultura giovanile che è priva di quella componente della vita che sancisce il passaggio dalla vita adolescenziale a quella adulta. C’è un appello al discorso della responsabilità, una reazione alla mutazione biologica. Non è sempre possibile applicare modelli etici agli ambienti mediali. L’ambiente mediale è uno spazio pubblico che costituisce la nostra realtà, ricostruisce la polis greca e per la maggior parte di noi consiste nell’apparire spesso e confrontarsi con chi ci somiglia. L’auspicio è che le nuove generazioni siano più responsabili che stupide, che non si intralcino le nuove aperture degli ambienti mediali ai giovani. Sembra, quest’ultima, una proposta di buon senso. Conclude la relazione con proiezione di un video che caratterizza la nuova generazione (Where the Hellis Matt).

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Conclude i lavori il prof. Baggio ponendo, alla luce delle evidenze emerse durante la tregiorni, 5 questioni: 1) I figli. La D’Alessio ha messo in evidenza che i figli non sono al primo posto degli adulti. Gli adulti devono tener conto dei nativi digitali, devono risvegliarsi, devono acquisire una nuova consapevolezza. 2) Il progetto cultura. E’ necessario elaborare un progetto che abbia come obiettivo prioritario il miglioramento dell’umanità nella famiglia, nella scuola, nelle comunità. La Chiesa ha elaborato, per lo scopo, il Progetto Culturale; bisogna tenerne conto visto che le cose sono cambiate e dobbiamo progettare coerentemente con i nostri valori. E’ urgente un progetto sull’uomo, ponendosi la domanda di quale umanità vogliamo, per le famiglie, e nella scuole. 3) Saper fare qualcosa. Non si può fare solo accademia, cosa si può fare personalmente? Gettare le due monetine della vedova oppure fare di più? Costruire un accompagnamento, una relazione tra uomini, accettare la sfida. 4) Responsabilità sociale. Coinvolge tutti con le proprie gocce di pensiero, di comprensione, di condivisione e di accompagnamento. Gli adulti sono custodi, ci sono strumenti come l’Aiart, ci sono istituzioni che aiutano come il CNU e il Comitato Media e Minori. 5) Questione dei volumi reali. Parlarsi, abbracciarsi, scambiare opinioni, costruire relazioni reali, costruire contatti personali, esistono molte modalità per stare insieme.

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 Rassegna stampa Aiart Corso genova