Scossone digitale sulle nostre vite. Già viene il Metaverso e proprio tutto cambia

da Avvenire di Gigio Rancilio

Dimenticatevi Internet come lo conoscete. Dimenticatevi i social, le dirette su Facebook o su You-Tube. Dimenticatevi le riunioni di lavoro su Teams o su Zoom. Dimenticatevi anche gli influencer così come li conosciamo oggi. E persino i videogiochi come li giocate ora. Cambierà tutto. E non nel giro di decenni ma di pochissimo. E sarà una rivoluzione epocale. Perché il ‘Metaverso’, annunciato l’altra sera da Mark Zuckerberg, non è solo un furbo modo per distogliere l’attenzione del mondo dai guai e dalle malefatte di Facebook (che ne approfitta per cambiare nome alla compagnia in Meta, lasciando il marchio originale solo per il suo social). Questa volta siamo davvero davanti a un nuovo salto tecnologico che – nel bene e nel male – porterà un violento scossone nelle nostre vite e non solo in quelle digitali.

I computer come li conosciamo diventeranno probabilmente obsoleti e così anche i più moderni smartphone di oggi. La promessa (o la minaccia) è che saremo connessi, anzi interconnessi in tridimensionale agli altri come non mai. Ci troveremo a chiacchierare in salotto con amici distanti migliaia di chilometri come se fossero lì presenti e parteciperemo ‘in presenza (digitale)’ a riunioni, convegni e appuntamenti di lavoro. Ci troveremo a discutere contratti in uffici creati dalla realtà virtuale, con tanto di vista da scegliere a piacere, davanti a persone digitali come noi. Tutte le nostre vite avranno sempre di più momenti digitali. Anzi, sempre più spesso vivremo una parte delle nostre vita in Rete e non sempre direttamente, ma attraverso nostre versioni digitali.

Già, perché ognuno di noi avrà una sua replica digitale (uguale o diversa, nell’aspetto, nell’etnia, nell’età e nel sesso, da come siamo nella realtà).

Il termine Metaverso peraltro non l’ha inventato Zuckerberg oggi, ma Neal Stephenson che, nel romanzo di fantascienza Snow Crash del 1992, descriveva un mondo virtuale in tridimensionale dell’Internet, popolato da umanoidi digitali…continua a leggere su avvenire.it